Aziende a caccia di talenti? Oltre i fogli Excel c’è (molto) di più

Nel nuovo articolo, i contributor Marco Ceruti ed Edoardo Ares Tettamanti descrivono la "rivoluzione silenziosa" in atto nelle aziende di tutto il mondo, in cui si comincia a capire che le persone non sono risorse da standardizzare in recruiting guidati solo dall'IA, ma volti e storie da ascoltare con rispetto ed empatia

di Marco Ceruti ed Edoardo Ares Tettamanti*

C’è una rivoluzione silenziosa che sta accadendo nelle aziende di tutto il mondo. Non fa rumore, non compare sui giornali economici, ma sta cambiando tutto. È la rivoluzione di chi ha finalmente capito che le persone sono persone, non numeri su un foglio Excel.

Sembra banale, vero? Eppure guardate i dati del Gallup State of the Global Workplace 2024: solo il 23% dei dipendenti a livello globale risulta davvero ingaggiato nel proprio lavoro. Il resto? Sopravvive. E mentre sopravvive, le aziende perdono opportunità colossali: quelle con workforce altamente coinvolte sono il 23% più profittevoli e il 18% più produttive sempre secondo la stessa ricerca Gallup. Mica male come ROI dell’umanità.

Ma cosa c’entra tutto questo con la people analytics? Tutto. Perché dietro ogni dashboard colorato, ogni algoritmo predittivo, ogni KPI che lampeggia rosso o verde, ci sono storie umane che aspettano di essere ascoltate.

Quando vediamo che Maria del marketing ha un calo di produttività, non stiamo assistendo al malfunzionamento di una macchina. Magari Maria è diventata mamma da poco, o sta attraversando un momento difficile, o semplicemente ha bisogno di sentire che il suo lavoro ha senso.

L’errore che facciamo è pensare che standardizzare sia efficiente. Stesso onboarding per tutti, stesse formazioni, stessi percorsi di crescita. Ma le persone non sono biscotti da sfornare con lo stampino. Un neolaureato ha bisogni diversissimi da un genitore di tre figli, eppure li mettiamo nello stesso corso di formazione e ci stupiamo se i risultati sono mediocri.

La personalizzazione non è un lusso, è intelligenza applicata. E i numeri di Gallup e Harvard Business Review lo confermano: il 58% dei dipendenti che lavorano da remoto si sente più coinvolto. Non è questione di benefit che provano a gratificarci, è questione di riconoscere che ognuno ha il suo modo di esprimere al meglio il proprio potenziale.

Ecco dove diventa interessante il discorso etico. Secondo ricerche del MIT Sloan Management Review, abbiamo algoritmi che prevedono con il 95% di precisione chi lascerà l’azienda. Google ne ha sviluppato uno che indovina le promozioni giuste con il 90% di accuratezza. Ma i dipendenti si sono ribellati: non vogliono “nascondersi dietro una scatola nera”. E hanno ragione.

Il punto non è avere previsioni perfette, è cosa ci facciamo con quelle previsioni. Le usiamo solo per la metriche di turnover e talent retention? Per sostituire le persone prima che se ne vadano? O per capire di cosa hanno bisogno e offrire supporto mirato? La differenza tra questi due approcci definisce che tipo di azienda siamo.

L’intelligenza artificiale nelle HR sta crescendo a ritmi impressionanti: secondo LinkedIn Talent Solutions e McKinsey, riduce i tempi di assunzione del 40% e migliora del 30% la qualità delle selezioni. Ma tutta questa potenza tecnologica serve a poco se non la mettiamo al servizio dell’elemento umano.

Il problema vero è che continuiamo a ragionare in termini di controllo invece che di comprensione. Vogliamo dashboard che ci dicano tutto, algoritmi che prevedano tutto, processi che standardizzino tutto. Ma le persone non si standardizzano. Si comprendono.

E qui entra in gioco la fiducia. Dare autonomia, permettere alle persone di trovare il proprio ritmo, richiede un salto di fede che molte aziende tradizionali trovano terrificante (e noi con la gestione del team nella nostra startup lo abbiamo sperimentato in prima persona, ndr). Eppure, chi ci riesce scopre una cosa meravigliosa: la fiducia genera fiducia. Secondo Workhuman e Gallup, l’87% dei dipendenti dice che il riconoscimento gioca un ruolo enorme nella soddisfazione lavorativa. Non servono bonus milionari, serve sentirsi visti.

I dati più potenti non sono quelli che mostrano cosa succede, ma quelli che raccontano perché succede. Invece di report freddi pieni di percentuali, dovremmo imparare a narrare le storie della nostra gente. Ogni grafico dovrebbe parlare di persone in carne e ossa, ogni trend dovrebbe riflettere sogni e frustrazioni reali.

Quando l’engagement cala, non è solo un numero rosso sul cruscotto. È la storia di un team che ha perso la bussola, di persone che non trovano più senso in quello che fanno, di talenti che stanno scivolando via dalle nostre dita.

L’intelligenza emotiva diventa così una competenza fondamentale per chi lavora con i dati delle persone. Non basta saper leggere correlazioni e trend. Bisogna sentire le emozioni che muovono quei numeri, capire le motivazioni che si nascondono dietro i comportamenti.

Questa rivoluzione sta cambiando anche cose apparentemente semplici come l’accoglienza dei nuovi assunti. Invece di percorsi uguali per tutti, le aziende più avanzate creano esperienze su misura che si adattano al background, alle competenze, allo stile di apprendimento di ogni persona. L’AI aiuta in questo processo non sostituendo il tocco umano, ma amplificandolo.

Il costo di ignorare tutto questo è salato. Secondo Mind Share Partners e Harvard Business Review, nel 2021 il 50% dei lavoratori americani si è dimesso per problemi di salute mentale. Quando disconnetti le esigenze umane dalle pratiche aziendali, le conseguenze si vedono eccome nel conto economico.

Il rapporto Gallup 2024 è chiaro: il 58% dei dipendenti a livello mondiale sta lottando sia nella vita personale che professionale. Solo il 34% sta davvero prosperando. Questi numeri non parlano di produttività o performance. Parlano di vite umane, di persone che passano otto ore al giorno con noi e che meritano di stare bene.

Il futuro della people analytics non sta negli algoritmi sempre più sofisticati o nei dashboard sempre più colorati. Sta nella nostra capacità di tenere l’umanità al centro dell’equazione. Ogni volta che raccogliamo un dato, analizziamo un trend, prendiamo una decisione, dovremmo chiederci: stiamo servendo le persone o stiamo chiedendo alle persone di servire i nostri sistemi?

La risposta a questa domanda non determina solo il successo delle nostre iniziative di people analytics. Determina che tipo di posto di lavoro stiamo costruendo, che tipo di leader stiamo diventando, che tipo di futuro stiamo creando per le persone che ogni giorno scelgono di mettere il loro talento al servizio della nostra missione.

Perché alla fine, il vero potere della people analytics moderna non sta nel prevedere o controllare il comportamento umano. Sta nell’amplificare la nostra capacità di vedere, capire e prenderci cura delle persone con cui condividiamo il viaggio. E questo, francamente, non è solo smart business.
È quello che ci rende umani.

* Chi sono gli autori

Esperto di intelligenza artificiale, UX design e SaaS, Marco Ceruti ha una formazione in design ed esperienza come consulente, due caratteristiche che gli permettono di trasformare idee in prodotti utilizzati da centinaia di migliaia di utenti nel mondo. Appassionato di AI, combina creatività e governance per sviluppare soluzioni innovative e scalare business digitali su fondamenta solide.

Imprenditore con background in marketing e in formazione manageriale, Edoardo Ares Tettamanti guida la strategia di growth di Intra.FM. È coautore del libro “Cosa me ne faccio dell’Intelligenza Artificiale?”, scritto con l’Osservatorio sulle Prospettive Cliniche dell’Intelligenza Artificiale dell’Università Statale di Milano, di cui è cofondatore e membro. TEDx speaker, ha svolto attività di consulenza per aziende Fortune 500 e istituzioni accademiche.

Bibliografia essenziale
– Gallup, State of the Global Workplace 2024
– Harvard Business Review, “The Remote Work Revolution”
– MIT Sloan Management Review, “People Analytics: Ethics and Accuracy”
– Workhuman & Gallup, “The Power of Recognition”
– LinkedIn Talent Solutions, “AI in Hiring”
– Mind Share Partners, “Mental Health at Work Report”

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