Compassione nel lavoro, una competenza da allenare per il bene del team e delle aziende
Nel suo nuovo articolo il contributor Maurizio Mantovani torna sulla compassione, da esercitare in maniera strategica lungo quattro direzioni differenti, da se stessi ai team, passando dai capi ai collaboratori

La compassione, nel lavoro, non è una predisposizione personale né un tratto emotivo.
È una competenza professionale che sostiene qualità delle relazioni, velocità decisionale, stabilità dei team e chiarezza dei processi.
La si allena. Sempre. Ma la maggior parte delle persone crede che riguardi solo la relazione top-down, cioè il leader che si prende cura dei collaboratori.
In realtà, la compassione ha quattro direzioni, tutte necessarie per generare un ambiente organizzativo sicuro ed efficace:
– verso sé stessi;
– verso il capo;
– verso i colleghi;
– verso i collaboratori.
In aggiunta, sono da considerare i seguenti quattro assi che formano l’“ecosistema della cura professionale”.
Sto parlando di:
– compassione verso sé stessi, detta anche self-management o lucidità.
L’auto-compassione non è un atto emotivo, ma una forma di gestione manageriale del proprio stato mentale.
Un professionista che ignora i segnali di stress, fatica o sovraccarico diventa un decisore meno efficace.
Allenarla significa:
– riconoscere con onestà le proprie condizioni interne (energia, focus, stress);
– evitare l’autocritica distruttiva e favorire quella costruttiva;
– chiedere aiuto quando serve, non quando è troppo tardi;
– usare pause brevi come strumenti di lucidità, non come debolezza.
L’auto-compassione è in definitiva il prerequisito per gestire gli altri in modo sano e responsabile.
– Compassione verso il capo, ossia la relazione verticale bidirezionale.
Spesso si pretende che il leader riconosca, ascolti, comprenda.
Molto meno spesso ci si chiede se questo avviene anche verso l’alto.
Allenare compassione verso il capo significa:
– considerare le sue pressioni (budget, tempi, stakeholder);
– non attribuire intenzioni negative quando mancano informazioni;
– portare chiarezza invece che rabbia;
– proporre soluzioni pratiche invece che lamentarsi.
Non è giustificare ciò che non funziona, ma adottare una lettura più matura del ruolo e della relazione.
Una buona relazione verticale è sempre reciproca.
– Compassione verso i colleghi, detto anche effetto moltiplicatore del team.
Lavorare in team richiede cooperazione, non solo coordinamento.
La compassione trasversale riduce conflitti inutili e aumenta la velocità operativa.
Si allena così:
– condividendo informazioni critiche in tempo;
– evitando micro-ostilità (commenti passivi-aggressivi, sarcasmo, giudizi affrettati);
– dedicando tempo ai “micro-supporti” (5 minuti per sbloccare un collega valgono ore in meno di lavoro perso);
– riconoscendo pubblicamente i meriti degli altri.
La qualità delle relazioni orizzontali determina il livello di sicurezza psicologica del team.
– Compassione verso i collaboratori, ossia supporto, non sostituzione.
Qui la competenza diventa manageriale a tutti gli effetti.
Non si tratta di “essere gentili”, ma di creare le condizioni perché le persone possano lavorare bene.
La si vede in comportamenti specifici:
– ascolto non difensivo;
– riconoscimento delle emozioni critiche (frustrazione, stanchezza, paura di sbagliare);
– rimozione di ostacoli operativi e procedurali;
– chiarezza delle aspettative;
– monitoraggio regolare senza micro-management;
– sostegno nelle fasi di difficoltà senza sostituzione;
– feedforward orientato al futuro.
È leadership operativa, non psicologia.
La domanda a questo punto è: perché allenare la compassione in tutti e quattro gli assi sopra descritti?
Perché la qualità delle relazioni non è un “clima”, ma un asset. Permette di:
– ridurre cicli di conflitto;
– aumentare la velocità decisionale;
– limitare turnover e assenteismo;
– migliorare la collaborazione interfunzionale;
– sostenere la resilienza dei team.
La compassione è una competenza trasversale che rende più efficace l’intera organizzazione.
Concludendo, allenare la compassione in tutte le direzioni significa costruire solide fondamenta culturali in grado di produrre risultati, benessere e continuità operativa. Non si tratta di una competenza “soft”, ma di una leva professionale che rende le organizzazioni più umane e più performanti.

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