
Chi se ne occupa? Il costo (invisibile) del lavoro di cura in ufficio
Questa settimana la nostra Atena Manca affronta la questione dei cosiddetti compiti di cura, non di rado svolti dalle donne, in genere più inclini al benessere organizzativo dell'ambiente di lavoro. Per la contributor sarebbe invece opportuno redistribuirli equamente tra tutti.
di Atena Manca*

Nell’ultima settimana, questo tema ha acceso una conversazione intensa sulla mia pagina Instagram.
Molte persone, soprattutto donne, nelle stories hanno condiviso esperienze simili: situazioni in cui si sono fatte carico di mille micro-compiti di “cura” sul lavoro — senza che nessuno glieli chiedesse esplicitamente, ma anche senza che nessuno li notasse davvero.
Chi prende appunti durante le riunioni, anche se non è previsto dal ruolo?
Chi si occupa del regalo per il compleanno del collega?
Chi accoglie i nuovi arrivati, crea connessioni, sente quando qualcosa non va e trova il modo di sistemare il clima?
Chi prenota il ristorante per il capo anche per cene personali, chi “mette l’acqua sul tavolo” senza che nessuno glielo chieda?
Sono piccoli gesti. Ma hanno un impatto enorme.
Non compaiono nei job title. Non portano a una promozione. Eppure, senza di loro, tanti ambienti di lavoro semplicemente non funzionerebbero.
Questo fenomeno ha un nome: emotional labor o office care.
È il lavoro relazionale e organizzativo, spesso non riconosciuto, che tiene insieme i team.
Secondo uno studio pubblicato da Harvard Business Review, le donne ricevono il 44% in più di richieste di compiti non promuovibili rispetto agli uomini. E accettano il 50% di volte in più. Non per “indole”, ma perché spesso sono cresciute — anche professionalmente — con l’idea che il benessere collettivo sia una loro responsabilità implicita.
Il report Women in the Workplace 2023 di McKinsey e Lean In aggiunge un altro dato: le manager si fanno carico del doppio del lavoro relazionale rispetto ai colleghi uomini. Mentorship, supporto emotivo, integrazione di nuove risorse, gestione delle tensioni.
Tutto importante.
Tutto invisibile nei sistemi di valutazione.
E allora cosa si può fare, concretamente?
Durante un meeting internazionale, mi è capitato di assistere a una scena semplice ma eloquente: un manager, nel distribuire i compiti, ha richiesto che fosse un collega uomo a occuparsi della minuta, «visto che la volta precedente se n’era occupata una collega».
Un gesto piccolo, certo. Ma carico di significato.
Perché riconosce un pattern implicito — quello per cui certe attività cadono regolarmente su spalle femminili — e sceglie di interromperlo.
Non per cavalleria, ma per equità.
Questo è il tipo di azioni che si possono mettere in campo se si riconosce la situazione e si vuole essere più giusti.
Introdurre la rotazione degli incarichi di cura è una delle soluzioni più semplici ed efficaci.
Non si tratta di “vietare” la gentilezza, ma di redistribuirne il peso.
E di valorizzare chi si prende cura degli altri non come “brava persona”, ma come professionista che sta contribuendo alla salute dell’organizzazione.
Perché non è solo “prendersi cura”.
È lavoro, a tutti gli effetti.
E come ogni lavoro, merita attenzione, rispetto e riconoscimento.
Se questi temi ti interessano, seguimi anche sul mio blog: parlo spesso di leadership, equità, e di cosa vuol dire essere donna, mamma e professionista nel mondo di oggi.

* Chi è l’autrice
Atena Manca è una professionista con 20 anni di esperienza nel marketing e nella comunicazione. Laureata in Economia per l’Arte e la Cultura all’Università Bocconi e con un Master in Marketing a Publitalia ’80, ha completato di recente il corso Mastering Digital Marketing in an AI World alla London Business School. Creatrice del blog Madonnager.it, Atena condivide riflessioni e consigli (anche quelli non richiesti!) su come bilanciare carriera, maternità e vita personale, sempre con un pizzico di ironia.
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