
Quando il lavoro non si vede: l’indagine OIL-Federcasalinghe sul lavoro di cura
Secondo l'indagine realizzata da Federcasalinghe con OIL, nel 71% dei casi il lavoro di cura non retribuito ricade ancora sulle donne con pesanti conseguenze sulle chance di realizzazione professionale
Sulle spalle delle donne nel 71% dei casi: è la percentuale del lavoro di cura non retribuito, dalla gestione della casa all’assistenza di figli, adulti e anziani, che ricade principalmente sulle madri, più e meno giovani. A raccontarlo, è l’indagine realizzata da Federcasalinghe e dall’Ufficio per l’Italia e San Marino dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che ha coinvolto un campione di tremila persone.

Secondo lo studio, si tratta di un’attività immensa, fondamentale per la tenuta sociale ed economica del Paese, che continua ad essere poco poco riconosciuta. Nello specifico, il lavoro di cura non retribuito in Italia ammonta infatti a 60,7 miliardi di ore all’anno, con un valore stimato di 473,5 miliardi di euro, pari al 26% del PIL.
A generarlo, come si accennava, sono nei due terzi dei casi esaminati le donne, non a caso condizionate pesantemente nella loro partecipazione al mercato del lavoro retribuito. Quasi una madre su due, infatti, lascia o riduce l’attività professionale dopo il primo figlio, principalmente per mancanza di servizi e rigidità organizzative. Nonostante livelli di istruzione medio-alti, oltre 3,2 milioni di donne risultano inoltre inattive proprio a causa delle responsabilità familiari.
Dietro la scelta di dedicarsi alla cura c’è raramente una decisione libera. Tre quarti delle donne intervistate parlano esplicitamente di una condizione di necessità che si prolunga nel tempo, il cosiddetto “effetto trappola”. Così, una temporaneità immaginata si trasforma in un impegno medio di oltre 13 anni, che spesso accompagna l’intero ciclo di vita.
Il carico orario è imponente: più della metà delle persone intervistate dedica alla cura oltre 40 ore settimanali, in molti casi più di un lavoro a tempo pieno. E mentre le donne più giovani si occupano soprattutto di figli e casa, con l’età cresce il peso della cura di adulti e anziani non autosufficienti, dando vita al cosiddetto “effetto sandwich”: prendersi cura contemporaneamente di figli e genitori.
Alcuni numeri sui caregiver, altrettanto eloquenti: il 90% di loro sono donne, spesso ultrasessantenni, impegnate anche 55 ore a settimana o più. In molti casi si tratta di un impegno h24 che porta a stress, ansia, burnout. Non a caso, secondo le stime, in Italia tra 750mila e 1,2 milioni di caregiver convivono con rischi elevati per la salute fisica e psicologica.
Sul fronte della protezione sociale, il quadro non è rassicurante. Meno di due su dieci partecipano a un fondo pensione pubblico o privato e il rischio di povertà in età anziana è concreto. Anche la sicurezza domestica è critica: sei persone su dieci hanno subito un incidente nell’ultimo anno, con una frequenza tripla rispetto agli infortuni sul lavoro registrati ufficialmente.
Il problema non è solo quantitativo ma anche di solitudine. Solo il 18% delle persone riceve un aiuto dal partner, e comunque per poche ore alla settimana. I servizi pubblici per l’infanzia coprono appena un terzo dei bambini da zero a tre anni, mentre per gli anziani non autosufficienti la spesa privata rimane la strada principale. Da qui la richiesta dei caregiver: più assistenza all’infanzia, maggiore sostegno per la non autosufficienza, aiuti finanziari e condivisione dei compiti.

Come risolvere un problema di questa portata?
Il rapporto OIL-Federcasalinghe indica una possibile strada, basata su una strategia nazionale sulla cura, in linea con le linee guida internazionali ed europee. L’obiettivo è saper riconoscere, ridurre e ridistribuire il lavoro non retribuito, rappresentare chi lo svolge e garantire dignità a chi regge il welfare invisibile del Paese. Perché senza riconoscere questo lavoro, il rischio è che milioni di donne e uomini restino intrappolati in un’attività indispensabile ma negata, con costi sociali, economici e umani che l’Italia non può più permettersi.
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