DEI, mondo HR sempre più consapevole, ma le discriminazioni restano

Secondo la seconda edizione della ricerca curata dal grande gruppo internazionale specializzato in learning and development, due dipendenti su tre hanno dichiarato di aver vissuto episodi di discriminazione durante la propria vita professionale, con aspetto fisico ed età in cima alla lista. Dalla maggioranza dei direttori HR arriva la conferma della volontà di continuare a impegnarsi, se non proprio accelerare i propri sforzi in ambito DEI.

Cresce nei professionisti delle risorse umane la consapevolezza sui temi DEI. Lo rivela la seconda edizione dell’International Barometer, “Diversity & Inclusion nelle organizzazioni”, curata da Cegos Group, che mette però anche in guardia sulla persistenza di diverse forme di discriminazione nei luoghi di lavoro.

Condotta tra aprile e maggio scorsi in dieci Paesi di Europa, America Latina e Asia, lo studio ha coinvolto 5.537 dipendenti e 438 Direttori o Manager HR, tutti appartenenti a imprese private o organizzazioni pubbliche con più di 50 dipendenti.

Tra i risultati più rilevanti la presenza di un certo divario tra le intenzioni dichiarate dalle aziende e le pratiche quotidiane percepite e vissute dai dipendenti in termini di Diversity and Inclusion.

Nello specifico, anche se la DEI è ormai ampiamente riconosciuta all’interno delle organizzazioni, l’84% dei dipendenti in generale (il 77% in Italia) e il 98% (97% in Italia) dei professionisti HR affermano di aver assistito a episodi di discriminazione sul luogo di lavoro.

In più, 2 dipendenti su 3 dichiarano di aver vissuto personalmente esperienze di discriminazione nel corso della propria carriera (55%).

Tra le principali forme di discriminazione osservate dai dipendenti a livello globale si citano: aspetto fisico (53%, 42% ITA), età (48%, 35% ITA), razzismo (45%, 31% ITA) e status socioeconomico (42%, 32% ITA).

Inevitabili le ripercussioni di queste forme di discriminazione sul clima lavorativo. Secondo il Cegos Barometer, le relazioni al lavoro sarebbero compromesse definitivamente per un 1 dipendente su 3. Della stessa opinione sono 9 professionisti HR su 10 (8 su 10 ITA), sottolineando in particolare gli effetti dannosi di: commenti sessisti (53%, 36% ITA), comportamenti razzisti (47%, 44% ITA) ed eccessiva enfasi sull’aspetto fisico (45%, 38% ITA).

Dal canto loro, i professionisti delle risorse umane starebbero spingendo con forza le politiche di Diversity & Inclusion, facendo leva su un ampio ventaglio di azioni. Tra queste il Cegos Barometer parla di un 81% (72% ITA) di HR Manager che afferma di voler continuare o accelerare le politiche di DE&I. Un fenomeno in emersione, anche se al momento in maniera contenuta, è la cultura dell’allyship, ossia l’impegno volontario delle persone privilegiate a supportare attivamente gruppi marginalizzati o discriminati. In questo ambito, si starebbe muovendo il 40% dei dipendenti e il 41% dei responsabili HR, con leggere differenze nel solo ambito italiano.

Venendo alle misure DEI attuate nella loro azienda, i dipendenti citano la presenza di una comunicazione dedicata alla D&I (48%, 43% ITA); l’integrazione dei temi di DEI nei processi di onboarding (47%, 42% ITA); il coinvolgimento visibile della leadership su queste tematiche (46%, 42% ITA).

La consapevolezza sul valore di queste tematiche non è, secondo la ricerca, altrettanto supportata da azioni formative ad hoc. Solo il 42% (42% ITA) dei dipendenti ritiene infatti che i propri manager agiscano realmente come alleati contro la discriminazione. Analogamente, soltanto il 59% (55% ITA) dei manager ha ricevuto una formazione sui bias inconsci che possono generare discriminazione. Competenze da potenziare, secondo dipendenti e professioni sarebbero ascolto (45%, 58% ITA), empatia e compassione (42%, 31% ITA), tolleranza (37%, 31% ITA) e apertura verso gli altri (35%, 37% ITA).

L’effetto della persistenza di comportamenti discriminatori genera naturalmente conflitti, la cui gestione ricade ancora fortemente sui team HR. In particolare, il 45% (22% ITA) degli HR Manager dichiara di trovarsi in prima linea nella gestione di tali conflitti, mentre solo il 25% (36% ITA) segnala un coinvolgimento attivo dei manager nella risoluzione di queste problematiche.

Emanuele Castellani

Sui risultati della ricerca Emanuele Castellani, Executive Board Member del Gruppo Cegos e CEO di Cegos Italia ha commentato: «Consapevolezza e sensibilità non bastano più. Oggi i dipendenti si aspettano che i manager siano veri alleati: pronti ad agire, supportare e prendere posizione. Non è questione di buona volontà o di affermazioni formali, ma di assumere una scelta chiara e visibile per l’equità e l’inclusione, un vero cambio di paradigma manageriale. I dati ci dicono che il cambiamento non è ancora compiuto: la vera sfida è integrare la DI come competenza manageriale, come parte integrante del ruolo di chi guida le persone».

Alessandro Reati

A sua volta, Alessandro Reati, Head of People & Culture e HR Practice Business Leader di Cegos Italia ha aggiunto: «I risultati di questo Barometer confermano che la discriminazione non si limita più a criteri visibili o ‘tradizionali’ come età, genere o etnia. Si estende a dimensioni più sottili: il background sociale, il luogo di residenza o il livello di istruzione. Questo evidenzia chiaramente quanto in profondità gli stereotipi continuino a influenzare i comportamenti sul posto di lavoro, spesso in maniera inconsapevole. Per le organizzazioni, questi risultati rappresentano un campanello d’allarme, che mette in luce l’urgenza di rafforzare le misure contro la discriminazione, aumentare la consapevolezza e fornire ai manager gli strumenti adeguati per promuovere ambienti realmente inclusivi».

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