Allenarsi all’antifragilità, la strategia giusta per vivere nell’epoca della permacrisi

Nel nuovo articolo il contributor Maurizio Mantovani racconta il percorso di formazione e di team coaching sviluppato con l'azienda Comoli Ferrari, incentrato sulle competenze da allenare a tutti i livelli per attraversare con la necessaria consapevolezza l'attuale epoca dominata dalla "permacrisi".

di Maurizio Mantovani*

In Fabbrica di Lampadine, sto collaborando con HR e Direzione Commerciale di Comoli Ferrari in un innovativo e articolato percorso finalizzato all’evoluzione del ruolo del “Responsabile di Polo”, figura centrale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo commerciale dell’azienda.
La strategia perseguita da Comoli Ferrari unisce il ridisegno della job description con un percorso formativo e di team coaching per supportare i Responsabili di Polo ad acquisire e sviluppare un nuovo mindset per essere attuali in un contesto sempre più sfidante e in continua evoluzione, allenando le necessarie competenze di visione strategica, pianificazione, leadership e sales management.

Il primo passo per avviare questo progetto strategico è stato un kick off, in presenza dei vertici aziendali, incentrato su come affrontare il cambiamento. Viviamo un’epoca che Christine Lagarde, Presidente della BCE, ha, per prima, definito come “permacrisi”: una condizione di cambiamento continuo, in cui non esiste più uno “stato normale” stabile e rassicurante.

Gli scenari mutano con una rapidità senza precedenti e ogni settore – dall’industria ai servizi, dalla sanità alla distribuzione – è attraversato da onde di trasformazione che sembrano non avere tregua.
In un simile contesto, chi ha responsabilità e ruolo di guida non può più limitarsi a “fare bene il proprio mestiere” o a garantire l’efficienza dei processi.

Oggi la vera sfida è uscire dall’area di comfort dell’operatività per diventare punti di riferimento per la crescita dei collaboratori, aiutandoli a navigare nell’incertezza senza paura di sbagliare. Il vero errore è non fare, stare fermi, aspettando che la situazione si normalizzi. Attesa vana, visto che la crisi è diventata permanente. Ma come si affronta davvero il cambiamento? Da dove si comincia quando le certezze si sgretolano e la tentazione più forte è rifugiarsi nella nostalgia di un passato che non tornerà?

La gabbia dorata del «si è sempre fatto così»
La prima reazione naturale di fronte all’incertezza è quella di proteggersi. Restare nella zona di comfort, ancorati a frasi come «abbiamo sempre fatto così» o «so io come si fa» e comunque, intanto, lamentarsi. Tutto ciò offre un’illusione di sicurezza. In realtà, si tratta di una gabbia dorata che rischia di paralizzare le persone e le organizzazioni.

Molti manager, inconsapevolmente, cadono in questa trappola: rimandano decisioni per paura di sbagliare, delegano la responsabilità di ogni scelta alla sede centrale per sentirsi più sicuri, evitano di proporre nuove idee perché «non compete a loro». Oppure si rifugiano nella nostalgia, idealizzando il tempo passato come l’unico momento in cui «si stava bene».
Il problema è che quel mondo non esiste più. Le pratiche vincenti di ieri non sono garanzia di successo domani. E chi resta fermo rischia di essere travolto.

Antifragilità: non resistere, ma prosperare
Come sottolinea Nassim Nicholas Taleb, non basta essere resilienti, cioè resistere agli urti. Occorre diventare antifragili: capaci di trarre forza proprio dalle difficoltà, di prosperare nel disordine.
Allenare l’antifragilità significa ribaltare la prospettiva: vedere nelle crepe non un difetto, ma la porta da cui entra la luce.

Quanto ha da insegnarci la tecnica giapponese del “Kintsukuroi” che prevede la riparazione di una stoviglia rotta attraverso un collante dorato che la rende così ancora più bella da vedere.

Invece di buttare i cocci, mettiamo in evidenza le nostre ferite, uniamo i frammenti. Il risultato sarà ottenere un oggetto, e fuori di metafora, una persona che, analizzando le proprie cadute ed errori senza nasconderli, diventerà ancora più bella e preziosa, perché unica.

Le crepe, da noi giudicate brutture o segni da nascondere, in Oriente sono al contrario considerate valore aggiunto, da esaltare. Perché, perché nessuno è perfetto ed è proprio grazie agli errori che diventiamo migliori: non perfetti, ma autentici e quindi degni di fiducia.

Gli oggetti riparati con la tecnica giapponese sopra descritta, detta anche Kintsugi, raccontano una loro storia, e lo fanno attraverso quelle crepe visibili e finalmente belle, non nascoste e non motivo di rassegnazione.

Allo stesso modo, i segni e le cicatrici che ognuno si porta sul corpo o sul cuore possono diventare segno distintivo dell’unicità di quella persona, di quel professionista reso più forte e valorizzato dal tentativo (riuscito) di affrontare, cambiare ed andare avanti. L’imprevisto non è un nemico, ma il punto di partenza per una nuova evoluzione.

Operativamente, per chi ha responsabilità, vuol dire:
chiedersi con onestà: «Dove siamo fragili, come persone, come team, come organizzazione?». Perché non si può migliorare ciò che non si vede. Occorre invece elaborare in maniera continuativa un “check up di vulnerabilità” proprio e della propria organizzazione per capire come reagiamo all’imprevisto e cosa possiamo migliorare o fare diversamente;
moltiplicare le opzioni, perché non c’è mai un solo modo per raggiungere un obiettivo;
abituarsi ai piani B e stimolarli nelle riunioni di team.
L’antifragilità non elimina la vulnerabilità, insomma, ma la trasforma in leva di crescita.

Curiosità e sorpresa: il carburante del cambiamento
C’è un’altra energia indispensabile per affrontare la permacrisi: quella che nasce da curiosità e sorpresa.
La curiosità è la capacità di sospendere il giudizio e continuare a chiedere «perché?». È la mentalità del principiante, che osserva senza dare nulla per scontato, che non etichetta nulla come noioso. Allenarla significa cambiare piccole abitudini quotidiane, leggere e imparare cose nuove, concedersi il permesso di esplorare.

La sorpresa, invece, è quello stato emotivo che scatta quando ci troviamo di fronte a un evento inaspettato. È un attimo breve, che attiva l’amigdala e il sistema limbico, ma che subito dopo apre le porte all’attenzione e alla conoscenza. Imparare ad accogliere la sorpresa – invece di lasciarsi bloccare dalla paura – ci permette di trasformarla in curiosità, e quindi in apprendimento rapido.
In altre parole: chi è curioso e sa lasciarsi sorprendere è più pronto a cogliere opportunità dove altri vedono solo rischi.

Il valore del nobile errore
Un’altra convinzione da ribaltare riguarda l’errore. Troppo spesso viene vissuto come fallimento, colpa o motivo di giudizio. Eppure, lo sport – e in particolare i campioni che più ammiriamo – ci ricordano che sbagliare è parte integrante del successo. Ad esempio, Zlatan Ibrahimovic, ospite qualche anno fa di un Sanremo condotto da Fabio Fazio, ha detto: «Ho giocato 945 partite, ne ho vinte tante ma non tutte. Ho fatto più di 500 gol, ma ho anche sbagliato rigori. Il fallimento non è il contrario del successo, è una parte del successo. Fare niente è il più grande sbaglio che puoi commettere».

Per chi ha responsabilità, questo significa creare una cultura del “nobile errore”, ossia:
– trasformare ogni inciampo in un debriefing costruttivo;
– chiedere sempre «cosa abbiamo imparato?» invece di «chi è il colpevole?»;
– inserire micro-momenti di riflessione nei meeting di team.

Solo così si costruiscono squadre che imparano costantemente, senza paura di sperimentare.


Dal passato al purpose
La storia ci mostra come ciò che sembrava impossibile in un’epoca: «Le macchine più pesanti dell’aria non voleranno mai», affermava il fisico William Thomson Barone di Kelvin, nel 1895 – sia diventato realtà poco dopo.

La vera spinta al cambiamento non nasce solo dalle competenze tecniche, ma dal perché che ci guida. Come scrive Simon Sinek in “Partire dal Perché”, non è ciò che facciamo a ispirare, ma il motivo per cui lo facciamo.

Per chi ha responsabilità, questo significa diventare testimoni di senso: far crescere i collaboratori non solo nei numeri, ma nella consapevolezza di contribuire a qualcosa di più grande. Perché i risultati commerciali non sono mai un obiettivo fine a sé stesso: sono la conseguenza naturale di persone che si sentono coinvolte, responsabilizzate e ispirate. Guidare con visione, non con paura è la strada.

In conclusione, il cambiamento non si governa blindandosi, ma coltivando antifragilità, curiosità, sorpresa e cultura dell’errore.

In Comoli Ferrari, per i responsabili di Polo di oggi, il compito non è «fare di più», ma creare le condizioni perché i collaboratori possano crescere, sperimentare e generare valore.
In un mondo in permacrisi, non vince chi resiste, ma chi evolve. E la leadership, in fondo, è proprio questo: trasformare le crepe in cui entra la luce in nuove possibilità di futuro.

* Chi sono (da LinkedIn)

aiuto aziende e professionisti a chiarire e raggiungere i propri obiettivi attraverso: definizione value proposition, formazione e coaching. Un approccio sistemico che produce risultati misurabili.

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