
Al lavoro tutto ok, ma non sulla DE&I: i dati della ricerca di Tack TMI Italy
Resi noti nei giorni scorsi i risultati della ricerca "Oltre le diversità – Percezioni, esperienze e bisogni" promossa dalla realtà specializzata in training & development della holding Gi Group Holding che ha analizzato un campione di 1.500 lavoratori occupati in Italia.
Tutto a posto, niente in ordine. E’ l’impressione che si ricava dalla lettura dei dati sulla qualità delle relazioni al lavoro indagata da una ricerca di Tack TMI Italy di Gi Group. Chiamata “Oltre le diversità – Percezioni, esperienze e bisogni”, l’indagine ha coinvolto 1.500 lavoratori occupati italiani. Ebbene: contro la quasi totalità del campione, che ha dichiarato di lavorare in ambienti rispettosi delle proprie esigenze personali, ben 9 persone su 10 hanno però parlato della presenza di discriminazioni per etnia, orientamento sessuale e disabilità.

Scendendo nel dettaglio, più di un rispondente su quattro racconta di avere vissuto un episodio di tale natura in prima persona, in particolare le donne (36%) e i giovani under 35 (34%), per via del genere, dell’età e dell’aspetto fisico.
Tra i lavoratori nati fuori dall’Italia, il 74% afferma di essersi sentito discriminato proprio a causa dell’etnia e della nazionalità.
I programmi DE&I sembrano inoltre essere più dichiarazioni di facciata che azioni concrete per il 64% del campione che si è riconosciuto nell’affermazione: «Tante aziende parlano di programmi di diversità e inclusione ma non fanno niente per i lavoratori come me».
Come annullare la distanza tra percezione e realtà, ossia come fare in modo che davvero ogni persona si senta riconosciuta, accolta e rispettata nella propria unicità, in modo che migliori anche l’ingaggio e la motivazione? Secondo la ricerca, puntando su formazione e sensibilizzazione ad hoc, azioni che però hanno riguardato solo il 21% dei rispondenti.
L’approccio giudicato centrale dalla ricerca per affrontare tematiche del genere è l’empatia, insieme con la capacità di riconoscere e gestire pregiudizi e stereotipi. Tra quelli più diffusi, l’indagine di Tack TMI ha citato, ad esempio, l’uomo di mezza età come l’incarnazione del top manager oppure, al contrario, la donna giovane come addetta alla segreteria.
Oltre a questo, incidono anche i canoni estetici e di etnia, come la risposta alla domanda “Con chi parlerebbe il primo giorno di lavoro?”, alla quale la maggior parte ha risposto indicando “una persone giovane caucasica”.
Sul fronte aziendale, la disponibilità di strumenti per gestire eventuali tensioni legate alla diversità è giudicata ancora contenuta e disomogenea: solo le imprese più grandi strappano un 47% di risposte positive sulla loro presenza.
Tra gli altri dati, la survey indica la persistenza di più fattori discriminanti sul genere femminile: in particolare più di una donna su quattro ritiene che la propria azienda non rispetti le sue esigenze personali.
Gli under 35 sono poi ancora soggetti a pregiudizi sulla loro presunta incapacità di rispettare la gerarchia e sulla loro voglia di lavorare. La maggior parte del campione intervistato (57%) concorda poi sul fatto che che una persona disabile sia svantaggiata in azienda. La dimensione della diversity finora meno approfondita risulta inoltre quella legata alla disabilità cognitiva.

In merito ai risultati della ricerca ha detto Irene Vecchione, ad di Tack TMI Italy: «C’è un legame forte tra quello che i lavoratori chiedono e le loro esperienze personali: spesso le richieste di attenzione o cambiamento nascono perché le persone sentono più fortemente le discriminazioni che toccano la loro identità o la loro storia personale. Secondo l’ad, però, la sensibilizzazione da sola non basta. A suo avviso bisognerebbe infatti cambiare davvero la cultura delle organizzazioni, per creare ambienti di lavoro più giusti, dove le persone stiano meglio e siano più coinvolte. La sfida è chiara: la diversità deve diventare una realtà concreta nei luoghi di lavoro, riconoscendone il valore umano e il potenziale di crescita e innovazione».
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