La nuova collega degli HR italiani? Si chiama Gen AI
GoodHabitz, la piattaforma internazionale di formazione aziendale, svela il paradosso tricolore: l’87% dei professionisti HR usa ChatGPT, ma il 66% delle aziende non ha ancora una policy e 2 su 3 non offrono formazione sull’AI.
I lavoratori italiani hanno una nuova collega… artificiale. Lo conferma GoodHabitz, la piattaforma internazionale di formazione aziendale, che ha diffuso di recente una ricerca sulla diffusione degli strumenti di Gen AI tra manager HR e nel settore del learning & development.

Secondo l’indagine, un trend sarebbe in particolare evidente: l’adozione personale supererebbe di gran lunga la governance aziendale, al punto che negli uffici l’AI sarebbe diventata la scorciatoia preferita per la scrittura, la ricerca, la generazione di idee e la traduzione di documenti.
Nel dettaglio, secondo GoodHabitz l’87% dei professionisti utilizza ChatGPT nel proprio lavoro quotidiano, seguito da Microsoft Copilot (56%) e Google Gemini (33%). Nonostante ciò, il 95% degli intervistati si considera a livello principiante o intermedio e nessuno si definisce realmente esperto.
L’utilizzo non strutturato della tecnologia generativa creerebbe qualche malumore se ci si cala nei panni delle aziende. La ricerca parla infatti di solo un 23% di organizzazioni che incoraggia esplicitamente l’uso dell’AI, mentre il 66% sarebbe ancora privo di una policy e lascerebbe completa autonomia ai dipendenti.
Il risultato? La presenza di un vero e proprio “Far West digitale”, in cui il desiderio di innovare si scontra con il timore di sbagliare. Lo rivelano in particolare le risposte date dagli HR manager alla domanda su quali siano le loro principali preoccupazioni legate all’uso dell’AI.
Tra queste, le persone intervistate citano nel 76% dei casi le violazioni della privacy. Segue il 55% che parla di un uso improprio degli strumenti. Per finire, il 35% del campione ha paura del rischio bias e discriminazioni algoritmiche in genere.
Nemmeno la presenza dell’AI Act, già operativo in diverse disposizioni, rassicura i dipendenti intervistati. Secondo Goodhabitz la metà dei manager considera infatti la normativa europea complessa e poco chiara, mentre un terzo segnala difficoltà nel reperire competenze interne o consulenti specializzati.
Per rendere più strutturata la presenza dell’IA nelle aziende c’è solo una strada possibile, ossia la formazione. E tuttavia sarebbe proprio quest’ultima, secondo la ricerca di GoodHabitz, la grande assente. Ben due aziende su tre non offrirebbero infatti alcun percorso dedicato all’intelligenza artificiale, ma anche quando vi siano percorsi studiati ad hoc sulla nuova tecnologia, la tendenza porta la maggioranza a concentrarsi sui rudimenti di Gen AI, tralasciando aspetti cruciali come etica, sicurezza, governance o rilevamento dei bias.
In proposito dice Paolo Carnovale, General Manager di GoodHabitz Italia: «La fotografia che emerge è quella di una rivoluzione guidata dal basso: i professionisti HR stanno sperimentando l’AI per necessità e curiosità, ma spesso in assenza di una visione strategica aziendale. L’entusiasmo rappresenta la miccia, ma è la formazione il vero carburante: solo investendo in competenze digitali, critiche ed etiche l’AI potrà portare un reale vantaggio competitivo».
Il vero salto di qualità, secondo GoodHabitz, sarebbe quindi salire di livello, combinando pensiero critico, creatività, alfabetizzazione sull’intelligenza artificiale con consapevolezza etica e competenze di sicurezza informatica. Solo in questo modo, in definitiva, l’AI potrà trasformarsi in uno strumento al servizio delle persone e non viceversa.
Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale della società.
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