Salute mentale al lavoro: anche la Lombardia propone una sua legge

Illustrate nell’articolo le ragioni e gli obiettivi che hanno spinto la Regione Lombardia a presentare un provvedimento a tutela della salute mentale dei lavoratori, sulla scia dalla PDL nazionale che l'Onorevole Carmen Di Lauro e Lorenzo Tedeschi, imprenditore e attivista per la salute mentale, hanno presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 11 settembre.

di Lorenzo Tedeschi *

Prosegue il cammino per la reale promozione della tutela della salute mentale negli ambienti di lavoro, una battaglia di civiltà contenuta nella Proposta di legge presentata lo scorso 11 settembre alla Camera dei Deputati dall’Onorevole Carmen Di Lauro, raccolta nei giorni scorsi dalla Regione Lombardia, su iniziativa del consigliere regionale Nicola Di Marco e la firma delle colleghe Paola Pizzighini e Paola Pollini.

Obiettivo della normativa lombarda è portare una maggiore cultura del benessere psicologico in un territorio che sempre più spesso incentiva la produttività come costante e il lavoro come valore primario.

Come già scritto nel precedente articolo, ho partecipato attivamente alla stesura del provvedimento, che prevede di apportare modifiche sostanziali al Testo Unico per la Salute e la Sicurezza nei luoghi di lavoro, definire precisi standard di certificazione per il benessere psicosociale nelle organizzazioni, premiare le aziende che si certificano con l’innalzamento dei fringe benefit per l’anno fiscale successivo.

Dietro al provvedimento nazionale, sottolineo la presenza di un comitato promotore di tutto rispetto composto dalla pedagogista e assistente europarlamentare, Veronica Iannone, la testata NXWSS, l’Associazione Italiana Bipolari e infine la filosofa del lavoro, docente e consulente HR, Marcella Loporchio.

Quali le ragioni che ci hanno spinto a muoverci lungo questa strada? Innanzitutto i dati sul sul benessere mentale dei lavoratori in Italia e della loro disaffezione verso le aziende, che hanno smesso da tempo di essere un trend importato dall’estero, diventando invece un criterio con cui in molti – a partire dai giovani – scelgono dove andare a lavorare e per quali posizioni candidarsi.

Scendendo più nel dettaglio, secondo il Censis in Italia circa un lavoratore su tre sta sperimentando una condizione di burnout e distacco dal lavoro. Una situazione che nel 47,7% dei casi riguarda i giovani, seguiti dagli adulti (28,2%) e dai lavoratori anziani (23,0%). E che affonda le sue radici anche nel profondo clima di incertezza e instabilità geopolitica, economica e sociale che sta caratterizzando questi tempi.

Se da un lato c’è chi inizia a parlare – mediaticamente – di “epidemia del burnout”, dall’altro è stimato che, solo nel primo quadrimestre del 2024, in Italia le denunce di malattie professionali dovute allo stress siano aumentate del 109,7% (fonte: Rainews) e che questo disagio psichico costi in Europa oltre 100 miliardi di euro, che ricadono in gran parte sui datori di lavoro in termini di turnover, cali di produttività, presenteismo e assenze.

La proposta di legge presentata da Di Marco mette dunque le basi per una Milano (e non solo) a misura di benessere psicologico.

Anche in Lombardia si inizia quindi a parlare di lavoro sostenibile con una proposta di legge regionale che può essere considerata una sorta di primo verso passo verso un mondo del lavoro che mette al centro la cura delle persone.

La sfida vera, però, sarà far parlare a un territorio complesso come la Lombardia il linguaggio del lavoro etico e del benessere mentale.

Tornando ai punti principali che caratterizzano la PDL, torno ad elencarli uno per uno. Con il provvedimento da noi proposto ci prefiggiamo di:

– adeguare gli strumenti normativi esistenti alla crescente esigenza di sicurezza psicologica da parte dei dipendenti e all’importanza del benessere psicologico in azienda;

– proporre degli standard di Certificazione del Benessere Psicosociale nei luoghi di lavoro, alla stregua della Certificazione della Parità di Genere (prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022);

– innalzare le soglie di defiscalizzazione previste per i beni e servizi rientranti nel welfare aziendale per i datori di lavoro in possesso della Certificazione per il Benessere Psicosociale nei luoghi di lavoro (rilasciata da enti accreditati secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle Politiche Sociali). Sarebbero quindi elevate a 1.500 euro annui per ciascun lavoratore dipendente e a 2.500 euro annui per ciascun lavoratore dipendente con figli fiscalmente a carico;

– rendere la Certificazione per il Benessere Psicosociale nei luoghi di lavoro un pre-requisito per poter diventare società benefit, continuare a godere della qualifica e partecipare alle gare pubbliche di affidamento (appalti).

La domanda finale, quindi, è la seguente: è davvero necessaria una Certificazione per il Benessere Psicosociale nei luoghi di lavoro?

Più che una certificazione, sono necessari degli strumenti legislativi che rendano il benessere e la dignità dei lavoratori una priorità per le aziende e per il Paese. Occorrono mezzi che facilitino le aziende nell’adozione di una cultura del benessere psicologico delle persone, che permettano alle organizzazioni virtuose di comunicare in modo chiaro la propria posizione e che tutelino i potenziali candidati (e il mercato) dalle “false società benefit”. Quelle divenute tali per mero opportunismo e greenwashing invece che per una reale propensione valoriale.

Quindi, sì: una certificazione per il benessere psicosociale nei luoghi di lavoro è necessaria, ed è necessario molto altro ancora.

*Chi sono (da LinkedIn)

Bevo Estathè e cerco di rendere il mondo un posto migliore.
Sono AD di TeamDifferent, una realtà che fornisce consulenza e formazione per il benessere psicologico negli ambienti di lavoro. Curo ETHICAL HR, il festival della cultura etica e sostenibile nel mondo delle risorse umane. Co-dirigo il Tavolo Permanente per il Benessere Psicosociale nelle Organizzazioni e nella Pubblica Amministrazione.

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