Sì al Vibe Coding per innovare il mondo del lavoro. Sbagliando
Nel suo articolo Antonio Procopio spiega perché l'attitudine tipica degli startupper a muoversi velocemente dall'idea alla realizzazione pratica possa essere utile anche nel mondo HR per trasformare dall'interno le aziende più tradizionali, a patto di agire con equilibrio e senza false illusioni
di Antonio Procopio*

Negli ultimi anni ho visto crescere in modo esponenziale un’attitudine che arriva dal mondo delle startup e si sta lentamente infiltrando anche nei team di innovazione delle aziende più strutturate. E’ il Vibe Coding: un mix di strumenti leggeri, mindset sperimentale e desiderio di trasformare rapidamente un’idea in qualcosa di tangibile.
Non è un processo standard. È un’energia.
Il Vibe Coding è proprio una voglia di fare che, con i giusti strumenti, può prendere forma in poche ore. Grazie a piattaforme come Replit, Lovable, Base44 o Codex, con abbonamenti da poche decine di dollari al mese, è oggi possibile costruire prototipi funzionanti, mockup interattivi o automazioni sofisticate con una velocità impensabile fino a pochi anni fa. In 24 o 48 ore si può mostrare una soluzione, non più solo descriverla.
Questo approccio, che ricalca la logica MVP tipica delle startup (come spiego nel mio libro Startup Makers edito da OltreLaMedia Group), sta prendendo piede anche nelle aziende tradizionali, soprattutto dove ci sono innovation hub o iniziative di corporate venture building.
Attenzione, però: prototipo non vuol dire prodotto.
Ed è proprio qui che si gioca il vero equilibrio culturale. Fare innovazione veloce ha un enorme potere abilitante, a patto di non creare l’illusione che «basta un pomeriggio per lanciare un servizio completo».
Un prototipo serve a validare un’intuizione, ad accendere un confronto, a raccogliere feedback, a dire: «Si può fare, così potrebbe funzionare».
Da lì a un prodotto solido, scalabile, manutenibile… il passo non è automatico, insomma. Servono invece architettura, testing, sicurezza, governance. Serve tempo. È un po’ come dire che aver costruito un modellino LEGO della casa dei sogni non equivale ad averla pronta per andarci ad abitare.
Il rischio, oggi, è che alcuni manager (spesso in buona fede) confondano il potenziale del rapid prototyping con una nuova normalità operativa. E allora, se ieri per costruire un’infrastruttura software servivano sei mesi, oggi si aspettano che tutto sia pronto in due giorni. Basta un Replit, no? Ma non funziona così. E chi guida l’innovazione deve avere il coraggio di difendere questa differenza, con chiarezza e responsabilità.
Perché se è vero che oggi abbiamo a disposizione strumenti potentissimi per liberare creatività e dare forma alle idee, è altrettanto vero che il prodotto – quello vero – richiede rigore, cura e tempo.
Faccio un esempio su tutti: Gmail nasce come side project all’interno dei Google Labs, in un contesto in cui le persone avevano tempo e spazio per provare idee fuori dal perimetro dei task quotidiani. Nessuno si aspettava che il giorno dopo fosse pronto a scalare su milioni di utenti. Ma proprio perché è nato così, è stato possibile farlo crescere bene.
Ecco allora il messaggio chiave. Il Vibe Coding è una straordinaria opportunità, ma ha senso se viene sostenuto da una cultura organizzativa che:
– dà spazio alle persone per sperimentare;
– sa distinguere tra prototipazione e sviluppo;
– non forza le tappe, ma costruisce contesti;
– valorizza chi osa, anche quando l’idea non porta subito a un’app in produzione.
Chi lavora in ambito HR o guida team di innovazione ha oggi la possibilità di usare questo approccio non solo per innovare prodotti, ma per innovare la cultura stessa del lavoro. Perché liberare le persone nel pensiero, nella sperimentazione e nella collaborazione non significa aspettarsi miracoli. Significa creare spazi protetti in cui le idee possano prendere forma, e poi – solo poi – evolvere in qualcosa di solido. Spazi nei quali è possibile Sbb..sb… bagliare!
In un mondo che corre, la vera abilità non è fare tutto subito. È sapere cosa va fatto subito, cosa va lasciato maturare, e cosa non va fatto per niente.

*Chi sono
CEO di MYMY.IT e di Digital-Hub, oltre che CTO di Intarget Group, sono esperto di Innovazione, Digital Advisory & Digital Marketing. Tra le altre esperienze, per Oltre La Media Tv conduco il programma televisivo StartupOpenBar e il webcast StartupShots. Autore del libro “Startup Makers” edito da OltreLaMedia Group. Faccio parte del Comitato direttivo del Business Angels Club. Sono mentor ed esperto di business con un solido background tecnologico. Infine, partecipo direttamente ed indirettamente in oltre 40 start-up e scale-up, con due exit di rilievo.
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