Oltre il 25 novembre: la violenza contro le donne corre anche online e al lavoro
In vista della ricorrenza istituita dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel dicembre '99, Valore D, Una Nessuna Centomila e Permesso Negato hanno presentato in una conferenza stampa il secondo capitolo della policy "Dal silenzio all'azione", un piano di intervento contro la violenza digitale di genere nel mondo del lavoro
Il 25 novembre torna la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un’occasione in più per riflettere in maniera concreta sulla presenza del fenomeno anche online e nei luoghi di lavoro. Lo hanno sottolineato la scorsa settimana, durante una conferenza stampa congiunta, Valore D, Una Nessuno e Centomila e Permesso Negato. Le tre realtà si occupano da tempo di approfondire la portata del fenomeno, ciascuno dal proprio angolo di osservazione e intervento.

Prima a prendere la parola è Barbara Falcomer, la direttrice generale di Valore D, l’associazione di imprese nata nel 2009 per promuovere l’equilibrio di genere e la cultura dell’inclusione, oggi composta da 400 associate, che ha detto: «L’anno scorso abbiamo affrontato il tema della violenza anche al di fuori del mondo delle imprese», sottolineandone lo stretto legame con ciò che accade all’interno dei luoghi di lavoro: «I dati ci dicono che il 40% delle donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza sono donne che lavorano, quindi abbiamo iniziato a occuparci del tema della violenza di genere in ambiente domestico», precisa.
Di qui la scelta di Valore D di lavorare con la Fondazione Una Nessuna Centomila per l’elaborazione di una policy chiamata per l’appunto “Dal silenzio all’azione”, allo scopo di aiutare le aziende, in particolare le associate, «ad occuparsi del tema in modo delicato sia per prevenire, ma soprattutto per identificare, monitorare e supportare le persone, le donne, che in azienda vengono identificate come vittime di violenza», rimarca Falcomer.
La conferenza stampa della scorsa settimana era quindi l’occasione per presentare la seconda puntata della loro iniziativa, dedicata in maniera più specifica alla violenza digitale.
Il tema acquista dimensioni particolarmente grandi al giorno d’oggi per l’osmosi continua tra vita privata e professionale, favorita dall’uso del web e dei social in particolare. La ricorrenza del 25 novembre ha offerto quindi il gancio giusto per tentare di andare oltre la rappresentazione mediatica della violenza di genere.
«Noi ce ne occupiamo tutto l’anno, come testimonia ad esempio il video podcast realizzato lo scorso anno intitolato “Scomodiamoci” destinato alle scuole», sottolinea Debora Ghietti, la segretaria generale di Una Nessuna Centomila. Da qui è nato il progetto di approfondire la questione della violenza di genere diffusa digitalmente, affrontato in primo luogo in ambito aziendale, ma destinato ad essere allargato alla quotidianità in generale.

Su ciò che è emerso finora, la segretaria della Fondazione nata nel 2022 per promuovere e sostenere i Centri antiviolenza italiani utilizzando anche la leva dell’arte, precisa: «Secondo la ricerca che abbiamo sviluppato insieme all’Università Bicocca di Milano, dove da gennaio partirà il primo corso di alta formazione per docenti sull’educazione sesso-affettiva, la corretta rappresentazione della violenza richiede di andare sotto la punta dell’iceberg raccontata dai media».
Scendendo in profondità, precisa Ghietti, c’è molto di più, ossia «il linguaggio, le rappresentazioni stereotipate, l’invisibilizzazione». Come quantificare il fenomeno? «I dati, ahimè, sono tristemente noti – continua – ogni tre giorni una donna viene uccisa. Quasi una donna su tre ha subito una forma di violenza fisica, sessuale, psicologica. Oggi in Italia le donne rappresentano il 91% delle vittime di violenza sessuale e l’81% delle persone è maltrattata da familiari e conviventi. Anche questo dato noi lo mettiamo un po’ per rispondere a volte alla domanda “ma anche gli uomini subiscono violenza?”. Ecco, direi che il dato è schiacciante ed è il motivo per cui ci occupiamo di violenza contro le donne».
Oltre ai femminicidi, c’è però l’ancora più rilevante fenomeno della violenza psicologica: «L’Istat ci dice che delle donne che hanno avviato un percorso di uscita, circa 9 su 10 hanno subito violenza psicologica, una delle forme più subdole, di cui le donne per prime fanno fatica a prendere coscienza».
Da non trascurare, poi, le ripercussioni sui figli delle vittime. Secondo la ricerca curata da Una Nessuna e Centomila, infatti, i minori testimoni di violenza fisica e/o psicologica sono circa l’80%, con l’evidente impatto sulla loro crescita.
La Fondazione si sofferma poi sulla figura del maltrattante, soggetta anch’essa non di rado a stereotipi: «Nel 95% dei casi – precisa Ghietti – è un uomo, di età compresa tra i tra i 30 e i 59 anni, quindi è giovane, è italiano e ha un lavoro stabile». Inoltre, più della metà dei casi di violenza (pari 52% dei casi) vengono compiuti dal partner: «In quasi il 30% dei casi dall’ex partner e l’11% da un altro familiare o un parente. Quindi diciamo che la violenza si tra le mura domestiche».
Un altro aspetto rilevante è quello economico: la ricerca cita una stima internazionale che calcola i costi della violenza sulla società civile nel suo insieme in quasi 300 miliardi di euro.
Venendo alla dimensione della violenza digitale, Ghietti cita l’Istituto Europeo degli Studi di Genere, che parla di un 58% di ragazze che avrebbe subito molestie online. Le misure esatte del fenomeno richiederanno tuttavia ulteriore lavoro, precisa l’esponente della Fondazione, che ricorda come anche l’Unione Europea solleciti una maggiore condivisione dei dati amministrativi proprio per poterlo mappare in modo più puntuale.
Certo, rispetto al passato, i dati a disposizione sono più approfonditi e vanno oltre quello per così classico di una donna su tre vittima di violenza. «Oggi i dati ci permettono di capire come cercare di intervenire», sottolinea ancora Ghietti, che rimarca il grande lavoro condotto dai Centri antiviolenza.
Resta però ancora molto forte la paura dello stigma sociale, un problema molto serio, considerando che in proporzione le donne che chiedono aiuto hanno subito nella stragrande maggioranza dei casi violenza psicologica. Qualunque sia il tipo di cui si è state vittime, l’impatto sulla salute resta significativo, come rilevato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Secondo Ghietti, anzi, l’Oms ha proprio definito la violenza di genere «uno dei problemi di salute più urgenti su scala mondiale», definendola «un’epidemia silenziosa proprio perché rappresenta un fenomeno poco riconosciuto e poco denunciato». Un segnale concreto di cambiamento nella mentalità generale della società arriva in ogni caso proprio dalle oltre 60.000 donne che si sono rivolte a un Centro antiviolenza, sottolinea in chiusura, ribadendo la grande forza e tenacia con la quale le stesse «decidono di prendere in mano la loro vita».

L’importanza dell’impegno concreto è raccolta da Nicole Monte, la vicepresidente di Permesso Negato, realtà tra le prime in Europa, nata nel 2019, attiva nella lotta alla violenza online e alla diffusione non consensuale di materiale intimo. Alla sua origine c’è l’introduzione nell’ordinamento giuridico del reato 612/ter, che «rende penalmente rilevante la condivisione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito tra maggiorenni», esordisce Monte.
Il Codice Rosso ha reso insomma più agevole a una realtà come Permesso Negato fornire supporto tecnologico agli addetti ai lavori e alle vittime, che fino a quel momento pensavano di non poter fare nulla contro la diffusione illecita di loro immagini e video privati.
Non a caso, una loro indagine demoscopica mostra come «uno dei primi pensieri del 20% delle vittime è il suicidio proprio perché c’è questa sensazione di non poter fare niente a livello tecnologico», spiega la vicepresidente di Permesso Negato.
Dopo il supporto “tech”, il passo in più era fornire assistenza legale a chi volesse denunciare. Permesso Negato ha pertanto dato vita a un team di avvocati che offre 20 minuti di orientamento legale in maniera totalmente gratuita via telefono per aiutare le vittime ad orientarsi sulle possibili strategie da seguire.
Tre anni fa è nata poi la piattaforma di psicologi “Ti consulta”, ossia il terzo supporto messo a disposizione dall’associazione delle vittime, che non di rado hanno bisogno di una spinta in più da parte degli operatori di Permesso Negato per convincersi a richiedere anche questo tipo di aiuto.
La persistenza di ciò che Nicole Monte definisce “reato di vergogna” richiede insomma un cambiamento di mindset: «Le persone che condividono un’immagine intima vivono una sorta di victim blaming o vittimizzazione secondaria», rimarca.
Per aiutarle a superare il senso di colpa, «noi non diciamo mai a nessuna delle vittime che non avrebbero dovuto vivere la loro sessualità a livello digitale, tecnologico». Un’abitudine del genere è presente soprattutto tra le generazioni più giovani, che non percepiscono il confine tra realtà e virtuale. Resta il fatto che dal 2019 Permesso Negato abbia già gestito circa 6 mila ticket, mettendo in luce la presenza del fenomeno della pornografia non consensuale, anche sotto forma di sextorsion, «una vera e propria estorsione digitale», spiega ancora Monte, che aggiunge che a gestirle di solito sono vere e proprie organizzazioni criminali che chiedono in cambio di essere pagate in criptovalute. Quest’ultimo fenomeno colpisce proprio i più adulti, che più dei giovani vanno alla ricerca del partner online.
Come si lavora sul cambiamento della mentalità, quindi?
In primo luogo, secondo Nicole Monte bisogna investire sull’educazione digitale: «Se da un lato ci ha fatto piacere essere stati contattati lo scorso agosto per fenomeni come Mia moglie e Fica.eu, dall’altro lato mi ha sorpreso il fatto che fossero tutti stupiti dell’esistenza di questi fenomeni», ha considerato l’esponente di Permesso Negato.
Di qui l’idea di unire le forze con realtà Una Nessuna e Centomila e Valore D, con le quali è possibile aggirare l’ostacolo di entrare nelle scuole per fare educazione sui più giovani.
Lavorando sugli adulti, è insomma possibile ottenere risultati altrettanto significativi. Nella policy elaborata in comune si parla per l’appunto di prevenzione nei luoghi di lavoro, strutturandola in azioni differenti. Le aziende possono ad esempio dotarsi di codici etici, poi puntare sulla formazione ad hoc e su analisi di clima periodiche. Il tutto allo scopo di individuare i punti deboli su cui intervenire per tempo.
Del resto, aggiunge Monte, «l’azienda è il luogo in cui viviamo l’80% della nostra giornata, nonché il luogo dove, anche grazie allo smart working, possiamo imparare ad usare bene gli strumenti tecnologici» anche da questo punto di vista.
Per una avvocata con un’anima tech come la sua, in ogni caso, un buon punto di partenza è capire che il consenso implicito, in azienda e fuori, non esiste. «O è consenso o non lo è». Lo stesso vale sul web: «Forse dovremmo parlare di cultura del consenso anche quando ci muoviamo all’interno dei nostri device stessi e quindi ricordarci che la condivisione di immagini si basa sul consenso», rimarca ancora la vicepresidente di Permesso Negato.
Proprio ai ragazzi che ha incontrato nelle scuole le è capitato di domandare se chiedono il permesso ai loro compagni quando condividono una loro foto: «Sembra assurdo, ma i ragazzi spesso mi rispondono sì, al contrario di quanto mi riferiscono gli adulti», svela.
Lavorare sui secondi promette in definitiva di avere grandi benefici su tutti, in particolare sulle donne, che non di rado finiscono per licenziarsi dopo aver subito una violenza di tipo digitale. Si tratta di un ulteriore soffitto di cristallo in cui si imbattono lungo il loro percorso professionale, di cui, sottolinea in particolare l’esponente di Valore D, «le aziende devono farsi carico».
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