L’AI cambia il lavoro: chi rischia e come si può ripartire

LiveCareer descrive le professioni italiane più esposte all’automazione guidata dall’intelligenza artificiale e propone strategie formative concrete per il reskilling. L’obiettivo è spostare il valore dal compito ripetitivo alla capacità di relazione, diagnosi e decisione.

Non più teoria, ma realtà: il rischio di perdere il lavoro per effetto dell’automazione è già tra noi, a partire da dieci tipologie di lavori particolarmente esposti. Lo sostiene LiveCareer, che sottolinea come la pressione dell’intelligenza artificiale si concentri soprattutto laddove le attività sono ripetitive, regolabili da procedure e facilmente standardizzabili. Nel mirino finiscono quindi dieci ruoli ricorrenti dell’economia dei servizi: addetti all’inserimento dati, operatori di telemarketing, rappresentanti del servizio clienti, cassieri, correttori di bozze, paralegali e assistenti legali, contabili, lavoratori di fast food e ristoranti, operai di magazzino e analisti di ricerche di mercato.

Si tratta insomma, secondo l’articolo citato, di un perimetro ampio che va dall’ufficio al retail, dal back office alla logistica, e che fotografa bene dove l’AI sta diventando “motore” invisibile dei processi.

La logica, sostiene ancora l’articolo di LiveCareer, è semplice: quando una mansione è fatta di passaggi ripetuti e decisioni a basso contenuto di ambiguità, i sistemi di automazione – dall’OCR alla robotica di magazzino, dai chatbot alla cassa intelligente – la eseguono più in fretta e con meno errori. L’effetto si vede già: i flussi di data entry si accorciano grazie all’estrazione automatica, i call center sono affiancati da voci sintetiche e assistenti virtuali, la cassa diventa un passaggio “invisibile”, il proofreading meccanico migra verso strumenti di editing evoluti, la paralegal review si appoggia a piattaforme di e-discovery, la contabilità sposta il peso su software che classificano, riconciliano e segnalano anomalie.

Nella logistica, magazzini sempre più automatizzati riassegnano quindi il lavoro umano a supervisione e gestione degli imprevisti; nella ricerca di mercato, l’analisi descrittiva è accelerata da tool che aggregano e visualizzano dati in pochi clic.

Il quadro italiano aggiunge un dettaglio importante: non basta il livello di istruzione a immunizzare dal rischio. LiveCareer richiama dati nazionali secondo cui l’esposizione cresce con il titolo di studio in quelle professioni intellettuali dove il lavoro è altamente schematizzabile. Le donne, ad esempio, risulterebbero mediamente più colpite.

Sullo sfondo, c’è anche un sistema Paese che sconta un ritardo strutturale nell’adozione dell’AI rispetto ad altri Paesi europei, elemento che impatta la velocità (e la qualità) dei percorsi di riconversione.

Che cosa significa, quindi, “reskilling” in concreto? Prima di tutto, spostare il baricentro dal compito alla competenza. I profili a rischio hanno già in sé blocchi di abilità riutilizzabili: chi fa customer service possiede ascolto attivo e capacità di triage; un addetto cassa conosce i flussi del negozio e i sistemi POS; un paralegale governa procedure, scadenze e archivi; un contabile legge numeri e anomalie; un magazziniere vive quotidianamente KPI, sicurezza e tempi.

La chiave, considera l’approfondimento di LiveCareer, è portarli “a valle” di nuovi strumenti e responsabilità: dal servizio clienti al customer success (meno ticket, più esiti), dalla cassa alle retail operations (inventario, click&collect, qualità del servizio), dal back office a RPA/no-code junior (piccole automazioni misurabili), dalla paralegal review alle legal ops (processi, piattaforme, dati), dal magazzino alla logistica 4.0 (WMS, supervisione, analisi flussi), dalla ricerca di mercato agli insight (interpretazione, storytelling dei dati).

Sul piano formativo, la strategia efficace è modulare e breve. LiveCareer suggerisce, per ciascun lavoro, piste di transizione che valorizzano l’esperienza di partenza e aggiungono tasselli digitali mirati. Tradotto in politiche attuabili: micro-credential di 8–16 settimane su data literacy, strumenti di analisi e visualizzazione, CRM e customer analytics; alfabetizzazione all’AI “operativa” (saper definire obiettivi, vincoli, esempi; costruire template di prompt e routine riutilizzabili); automazioni no-code che collegano moduli, fogli, CRM e notifiche per tagliare passaggi ripetitivi; basi di governance del dato (privacy, qualità, tracciabilità) per lavorare in sicurezza.

A questo si affiancano academy aziendali con project work su casi reali e l’uso dei fondi interprofessionali e dei voucher regionali per coprire i costi delle certificazioni entry-level in ambiti come cloud, analisi dati e cybersecurity. L’obiettivo pratico, misurabile, è liberare tempo dal “meccanico” e riallocarlo su relazione, diagnosi, decisione.

C’è poi un punto culturale: il reskilling funziona quando diventa un patto tra persone, imprese e territorio. Le persone investono curiosità e costanza; le aziende aprono varchi – job rotation, tutor, budget formativi – e chiedono risultati osservabili (meno errori, tempi più rapidi, NPS in crescita); il sistema locale – enti, scuole, università, agenzie – costruisce passerelle corte tra formazione e lavoro. La stessa dinamica che l’AI imprime ai processi deve riflettersi nei percorsi: iterare, misurare, migliorare.

In sintesi, l’AI non “ruba” il lavoro: ridefinisce dove sta il valore. Le dieci professioni elencate da LiveCareer segnalano l’area di massima esposizione; le traiettorie formative indicano il modo per trasformare la vulnerabilità in competenza spendibile. La partita si vince spostando persone e organizzazioni dal ripetere al decidere, dal comporre pratiche al costruire esiti. È lì che la tecnologia diventa alleata.

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