Il capo dentro di noi: come zittire la voce che giudica

Debutta HUMANS, la rubrica di Gaia Elisa Rossi, psicologa clinica specializzata nella gestione dell'ansia e dello stress, con un articolo dedicato all'autocompassione, un principio utilissimo per affrontare le difficoltà al lavoro trattando noi stessi con la stessa gentilezza che useremmo con un caro amico

di Gaia Elisa Rossi*

Il nostro giudice più severo? Spesso siamo proprio noi stessi. In ambito lavorativo, questa tendenza può tradursi in perfezionismo, senso di colpa per gli errori, paura di deludere o di non essere all’altezza. Eppure, ricerche riportano che le persone più capaci di affrontare sfide e stress non sono quelle che si criticano di più, ma quelle che riescono a trattarsi con gentilezza. È il principio dell’autocompassione: un atteggiamento mentale che unisce consapevolezza, umanità e benevolenza interiore, introdotto in psicologia da Kristin Neff nei primi anni 2000.

Ma che cosa significa autocompassione?

Significa saper riconoscere i propri stati emotivi — frustrazione, stanchezza, paura — e rispondere con la stessa gentilezza che useremmo verso un amico in difficoltà.
Non significa giustificarsi o evitare la responsabilità, ma imparare a distinguere tra aver commesso un errore ed essere un errore. È la differenza tra dire “ho sbagliato una presentazione” e “sono un disastro”. Nel primo caso, riconosciamo un comportamento migliorabile. Nel secondo, attacchiamo la nostra identità.

Non è solo self-care. Quest’ultimo è il gesto: riposare, fare una passeggiata, prendersi un giorno di pausa. L’autocompassione, la self-compassion, è il modo in cui ti parli mentre lo fai. Non è un trattamento estetico dell’anima, ma un allenamento mentale.

Per alcuni l’autocompassione può sembrare un concetto astratto, lontano dalla quotidianità lavorativa, per altri addirittura un pensiero impossibile da concedersi, considerata la mole di lavoro da svolgere.
Eppure, l’autocompassione è una risorsa per aumentare la produttività. Lo dice la scienza.

Sono infatti numerosi gli studi che dimostrano come chi coltiva questa attitudine sia meno soggetto al burnout, reagisca meglio agli imprevisti e mostri una maggiore capacità di apprendimento dagli errori. In pratica, chi si sostiene anziché punirsi ha più energia per cambiare: si passa dal «devo dimostrare di valere» al «voglio migliorare perché ci tengo».

Al contrario, la critica interna costante genera un cortocircuito: attiva lo stress, riduce la lucidità e inibisce la creatività. È come lavorare con un capo interiore che urla tutto il giorno.

Arrivati a questo punto, sorge spontanea la domanda seguente: come applicare l’autocompassione in azienda?
Ecco alcune pratiche semplici, validate dalla psicologia clinica, che funzionano anche tra una riunione e l’altra.

Parlati come parleresti a un caro amico
Durante la giornata lavorativa, chiediti: «Come sto reagendo ai miei errori?». Se la risposta è con giudizio, prova a cambiare tono. Immagina di parlare a una persona che stimi e incoraggiala nello stesso modo in cui vorresti essere incoraggiato.

Concediti una pausa di compassione
La psicologa Tara Brach propone il metodo RAIN, utile anche nei momenti di stress sul lavoro. L’acronimo sta per:
• Recognize: riconosci ciò che stai provando («Sono teso», «Ho paura di sbagliare»).
• Allow: permetti a quella sensazione di esserci, senza giudicarla.
• Investigate: ascolta cosa succede nel corpo — tensione alle spalle, respiro corto — e chiediti cosa stai davvero pensando («Temo di non essere all’altezza»).
• Nurture: offriti un gesto o un pensiero gentile («Sto facendo del mio meglio», «Posso riorganizzarmi e riprovare»).
Questo esercizio può durare meno di un minuto, ma aiuta a interrompere il ciclo stress → autocritica → blocco.

Usa il corpo come ancora
Uno studio ha mostrato che appoggiare la mano sul petto o sull’addome per venti secondi, respirando lentamente e pensando «come posso essere un amico per me stesso in questo momento?», riduce i livelli di stress e aumenta la lucidità.

E veniamo alle conclusioni.

A mio avviso, l’autocompassione è la premessa per l’affermazione di una cultura aziendale più umana.
Quando le organizzazioni la incoraggiano, non promuovono indulgenza, bensì maturità emotiva. Un team in cui è permesso sbagliare e imparare diventa più coeso e più capace di affrontare il cambiamento.

A loro volta, i leader che mostrano compassione verso se stessi modellano comportamenti di rispetto e fiducia reciproca.

L’autocompassione, in definitiva, non è un gesto privato: è un modo di essere che si riflette nel clima di tutto il gruppo di lavoro. E in un mondo in cui la performance è costante, è fondamentale trovare strategie efficaci per bilanciare resilienza e produttività.

*Chi è l’autrice

Gaia Elisa Rossi è una psicologa clinica specializzata nella gestione dell’ansia e dello stress. Appassionata di prestigiazione fin da bambina, ha calcato palcoscenici internazionali arrivando a rappresentare l’Italia come finalista ai campionati europei e mondiali di magia. L’esperienza nel mondo dello spettacolo arricchisce la sua pratica clinica nella gestione delle emozioni e dello stress, offrendo un approccio fortemente concreto che le permette di comprendere e supportare al meglio i pazienti. È inoltre attiva in progetti di divulgazione che intrecciano psicologia e magia, sia per il pubblico italiano sia per quello internazionale.

SEGUI LA DIRETTA DI: