
«L’autonomia è il vero motore dell’innovazione»: intervista a Tomas Barazza
L'ideatore di Supernova Agencies, la kermesse che torna il prossimo 30 ottobre all'H-Farm di Roncade (TV), racconta origini e obiettivi dell'iniziativa che dà voce ad agenzie di comunicazione, marketers e innovatori sulle urgenze del mondo del lavoro contemporaneo. Tema scelto come filo conduttore dell'edizione di quest'anno è l'autonomia, intesa come libertà, visione, organizzazione e cultura, aziendale e non solo.
Si intitola “Autonomy” la quarta edizione di Supernova Agencies, la kermesse organizzata dalla tech company Wethod con l’obiettivo di disegnare il futuro del lavoro, partendo dalle esperienze di oltre 500 professionisti della comunicazione, marketers e innovatori italiani, che si ritroveranno il prossimo 30 ottobre all’H-Farm di Roncade (Treviso). Suddiviso in due parti, l’appuntamento prevede una mattinata di workshop a numero chiuso incentrati su strumenti, metodologie e soluzioni concrete per addetti ai lavori e un pomeriggio aperto a tutti, animato dagli speech dei diversi protagonisti invitati all’edizione di quest’anno, a partire dal “padrone di casa” Tomas Barazza. Al Founder di Wethod toccherà parlare di “Autonomia & Paura. Come restare rilevanti mentre rendiamo autonomi figli, team e agenti”, come ha raccontato nella nostra intervista.

Partiamo dall’inizio: com’è nato Supernova Agencies?
«L’evento nasce qualche anno fa, quasi per caso, da una riflessione interna. Con il team di Wethod stavamo portando avanti una soluzione digitale pensata per aiutare le aziende a lavorare in modo più “smart” — un termine straniero ma efficace per descrivere un approccio più trasparente, snello, agile, decentrato. Ci siamo accorti però che vendere una tecnologia di questo tipo significava anche affrontare un tema culturale, organizzativo. Da qui l’idea di creare un momento di confronto tra le agenzie che vivono queste trasformazioni».
Quindi Supernova è ben più di un evento?
«Esatto. È diventato un punto di incontro annuale tra agenzie e aziende che, pur appartenendo a un’industria relativamente giovane, condividono la necessità di capire come funzionano le cose “dietro le quinte”. Non è una vetrina dove mostrare i propri successi, ma un luogo artigianale, una sorta di “cucina” dove ci si confronta davvero. Il primo anno ha funzionato benissimo, molto più di quanto immaginassimo, e così è diventata un’abitudine».
Avete anche creato un indice per misurare la qualità delle organizzazioni, giusto?
«Sì, lo abbiamo chiamato Supernova Index. Misura la capacità di un’azienda di crescere bene, cioè non solo in termini economici ma anche umani: un team che lavora bene, in un ambiente sano, dove le persone consiglierebbero a un amico di andare a lavorare. Lo costruiamo su tre piani: il benessere interno, la soddisfazione dei clienti e la solidità economica».
Perché avete scelto come tema di quest’anno proprio l’autonomia?
«È un concetto centrale, che può essere letto da molti angoli: organizzativo, tecnologico, umano. Per me, autonomia significa costruire un’azienda dove le persone possano agire con libertà e responsabilità. È uno dei driver fondamentali della motivazione: quando senti di poter governare ciò che fai, lavori meglio, ti realizzi di più».
Ma l’autonomia può anche creare paura, no?
«Sì, è vero. Spingere su un sistema fortemente autonomo porta molti vantaggi — velocità, coordinamento, motivazione — ma a volte mi chiedo: cosa resta da fare a chi guida? È una riflessione che tocca anche la genitorialità: più i figli crescono e diventano autonomi, più ti accorgi che il tuo ruolo cambia».
Interessante. In effetti autonomia e formazione sono legate, anche in azienda.
«Sì, e oggi questo si intreccia con l’evoluzione tecnologica. Ti faccio un esempio: in uno studio legale inglese, l’introduzione di un agente AI chiamato “Harvey” ha sollevato la frustrazione dei giovani praticanti, che non potevano più imparare la parte maggiormente formativa del lavoro, ossia quella di ricerca. E allora ti chiedi: se le macchine fanno la gavetta, dove faranno esperienza i junior di domani?».
È un problema reale, anche per la crescita generazionale?
«Esatto. Se tutti cercano professionisti senior e nessuno offre spazio ai giovani, domani non ci saranno più senior da cui attingere. È un rischio di sistema. L’apprendistato è parte fondamentale del percorso di crescita, ma oggi lo stiamo togliendo dalla comunità umana di apprendimento per delegarlo alla tecnologia».
Quindi non si tratta solo di sostituzione, ma di ridefinizione dei percorsi?
«Sì, e anche di come impariamo. Ti faccio un esempio personale: mio figlio studia fisica teorica e ha frequentato un master a Londra in computational science. Lì l’uso dell’intelligenza artificiale era dato per scontato. Tutti dovevano utilizzarla, e i corsi erano costruiti su questa base. Non si trattava di scoprire chi la usava o no, ma di valutare come la sapevi integrare. È un salto avanti nel modo di concepire la formazione».
In questo senso l’autonomia passa anche dall’uso intelligente degli strumenti digitali?
«Assolutamente. L’autonomia non è solo libertà, ma anche capacità di usare al meglio ciò che hai. Oggi chi ha un’idea può realizzarla da solo in tempi rapidissimi. Le tecnologie generative abbattono le barriere burocratiche, liberano dalle politiche interne, permettono di prototipare e testare senza dover chiedere permessi. È una rivoluzione anche nel modo in cui si gestiscono le organizzazioni».

E questo è anche il cuore del metodo Wethod, giusto?
«Esatto. Wethod nasce proprio da qui. Il nome è un gioco tra “we” e “method”: un metodo di lavoro condiviso, trasparente e snello. Il nostro software definisce un protocollo organizzativo per chi lavora per progetti. Crediamo che i vincoli e gli standard non limitino la creatività, ma la liberino: tolgono tempo alle incombenze a basso valore e lo restituiscono all’innovazione».
Quindi il vostro metodo trasforma la gestione in autonomia?
«Sì. Ti faccio un esempio pratico: nel mio team di cento persone non abbiamo figure di staff dedicate al controllo di gestione o all’HR. Non perché non servano, ma perché quelle funzioni sono distribuite. Ognuno sa come gestire risorse e progetti in modo collaborativo. È un sistema che si autoregola, un po’ come le formiche: non c’è un vigile, ma tutti sanno come muoversi».
In conclusione, l’autonomia non è solo un tema di efficienza, ma anche, forse soprattutto, di cultura?
«Esattamente. È un equilibrio tra libertà e responsabilità, tecnologia e umanità. Accettare il cambiamento, comprenderlo e saperlo gestire è l’unico modo per crescere davvero — come persone e come organizzazioni».
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