Pro e contro della “short week” secondo LiveCareer

«Lavorare meno per lavorare meglio?». La domanda apre l'articolo di LiveCareer che riproponiamo volentieri sotto forma di sintesi, vista la vicinanza del medesimo con le tematiche trattate dal nostro contributor Franco Zullo.

«Lavorare meno per lavorare meglio?». La domanda apre l’articolo di LiveCareer che riproponiamo volentieri sotto forma di sintesi, vista la vicinanza del medesimo con le tematiche trattate dal nostro contributor Franco Zullo.

Secondo il testo firmato da Natalia Stawiarska, per rispondere a una domanda del genere, bisogna partire dal concetto di produttività, che nell’epoca moderna non significa più solo ore trascorse in ufficio. Ad essere entrata in crisi è in particolare la classica settimana lavorativa di 40 ore, una grande e positiva rivoluzione introdotta agli albori dell’industrializzazione.

LiverCareer cita infatti il cambiamento radicale portato da Henry Ford, negli anni Venti del Novecento,. Storicamente si attribuisce al magnate statunitense l’introduzione dei turni di otto ore di lavoro nelle fabbriche, dopo anni di forti (e non di rado sanguinose) lotte sindacali, per ottenere riduzioni progressive di orario.

Venendo al presente, secondo LiverCareer «alcune aziende sperimentano la settimana corta, ma come sottolinea l’economista Dan Hamermesh, una diffusione capillare senza un sostegno normativo resta difficile, perché il modello a 40 ore è ancora vantaggioso per molti settori».

Come ridurre l’orario di lavoro senza danneggiare la produttività, quindi? Introducendo diverse possibili settimane di lavoro “ridotte”, che si basano tutte su una quantità di ore lavorate settimanali comprese tra le 32 e le 37, anziché le tradizionali 40. «L’obiettivo è combinare efficienza aziendale e benessere dei dipendenti, concentrandosi sulla qualità delle ore lavorate più che sulla quantità».

LiveCareer prosegue elencando le formule più diffuse di settimana ridotta:

Settimana di quattro giorni (32 ore totali) – 8 ore al giorno, con uno in meno rispetto ai classici cinque, di solito a parità di stipendio.
9-80 – 80 ore suddivise in nove giorni invece di dieci, guadagnando un venerdì libero ogni due settimane.
9-72 – 72 ore in nove giorni, con un venerdì libero ogni due settimane, ma con un monte ore ridotto rispetto al 9-80.
Mezza giornata il venerdì – restante tempo pieno dal lunedì al giovedì, liberando il venerdì pomeriggio.
Settimana di tre giorni – da 24 a 36 ore settimanali, a seconda delle esigenze aziendali.

«Per introdurre questi risultati, alcune imprese mantengono lo stesso stipendio riducendo l’orario, altre lo legano alle prestazioni o lo riducono in proporzione. L’idea di fondo è sempre la stessa: fare di più con meno, ottimizzando tempi e processi lavorativi, senza trascurare il benessere del personale».

Ma in quali Paesi la settimana di 4 giorni sta avendo più successo?

L’articolo ne elenca diversi, a partire dall’Islanda, dove la si è introdotta come progetto pilota già nel 2015, destinato a migliaia di lavoratori, con la dimostrazione pratica che «una riduzione dell’orario non compromette la produttività e migliora la qualità della vita».

LiveCareer cita poi l’azienda statunitense Bolt, che avrebbe reso permanente la settimana lavorativa di 4 giorni dopo una sperimentazione avviata nel 2021. «La decisione è stata supportata dai risultati: l’87% dei manager ha riscontrato produttività e servizio invariati, il 94% dei dipendenti ha espresso il desiderio di continuare».

Idem nel Regno Unito, dopo la sperimentazione avviata in oltre sessanta aziende durante il 2022, si è constato che «il fatturato è rimasto stabile, i giorni di malattia si sono ridotti del 65% e i casi di burnout sono diminuiti del 71%. Più del 90% delle imprese ha confermato l’intenzione di proseguire».

Nella Microsoft giapponese, invece, con la settimana lavorativa di 4 giorni, «la produttività è salita del 40%, invece i costi operativi sono diminuiti».

In Nuova Zelanda, infine, Unilever ha mostrato dopo un progetto di 18 mesi anche una riduzione dell’assenteismo, il che ha spinto l’azienda a estendere il modello anche in Australia.

E in Italia? LiverCareer cita alcuni esempi.

Intesa Sanpaolo è ad esempio la prima grande azienda italiana ad aver introdotto nel 2023 la settimana lavorativa di 4 giorni a 9 ore, mantenendo inalterata la retribuzione. «L’iniziativa ha riguardato circa 29.500 dipendenti di governance e filiali. In un anno, il 70% degli idonei ha richiesto l’abilitazione e circa il 46% ha effettivamente usufruito della settimana corta».

Tra le altre aziende l’articolo cita Lavazza (con i venerdì brevi), poi Lamborghini, con turnazioni che alternano settimane di 4 e 5 giorni, offrendo venerdì liberi a rotazione. Luxottica consente invece ai dipendenti di avere 20 giorni liberi all’anno (soprattutto di venerdì) coperti in gran parte dall’azienda e senza tagli allo stipendio.

Mettendosi quindi dal punto di vista dei lavoratori, LiveCareer indaga anche come la pensano questi ultimi sulla settimana lavorativa di quattro giorni o più in generale su un orario ridotto rispetto alle tradizionali 40 ore. A loro giudizio, questo tipo di modelli permettono di conciliare meglio lavoro e vita privata; dall’altro, ma per poterla introdurre in maniera efficace servirebbe un ripensamento radicale nell’organizzazione aziendale.

Tra i vantaggi portati dalla “short week” si cita il miglioramento del benessere, con riduzione del rischio di burnout e aumento della motivazione. «Con più tempo a disposizione, i dipendenti possono gestire meglio impegni personali, dedicarsi ad attività ricreative e mantenere un equilibrio psico-fisico ottimale»., scrivono nell’articolo.

Altri vantaggi sono poi maggiore attrattiva per i talenti: «Un orario più flessibile e l’opportunità di godere di giorni liberi aggiuntivi rappresentano un forte incentivo per i professionisti in cerca di aziende innovative – continua LiveCareer – e ciò può tradursi in una riduzione del turnover e in una crescita della reputazione del datore di lavoro».

Si annovera poi un aumento della produttività: «Diversi studi indicano che la produttività non dipende esclusivamente dal numero di ore lavorate. Al contrario, un impegno più concentrato in un periodo di tempo più breve può stimolare una migliore organizzazione, un’attenzione più intensa e un uso più razionale delle risorse».

In merito alle risorse stesse, tra l’altro, «meno giorni di apertura o di presenza in ufficio possono significare costi energetici ridotti, minori spese di trasporto e, in alcuni casi, una razionalizzazione dei servizi interni».

La “short week” potrebbe tuttavia non essere vantaggiosa, almeno per determinati settori: «Ambiti come sanità, trasporti o logistica richiedono un presidio continuo, rendendo la settimana corta più complessa da attuare». Oltretutto, aggiunge LiveCareer, «alcune persone preferiscono mantenere una routine su cinque giorni o incrementare il salario con gli straordinari. Per loro, passare a un orario ridotto potrebbe non essere la soluzione ideale». Possibili, inoltre, costi aggiuntivi dipendenti dal fatto che in caso di turni lunghi o non facilmente modificabili, «le aziende potrebbero dover sostenere straordinari o assumere più personale per coprire le ore mancanti, incidendo sui costi totali».

Introdurre la settimana corta comporterebbe infine una revisione di processi, calendari e modalità di lavoro, richiedendo investimenti in tecnologia, formazione e gestione del cambiamento.

La settimana lavorativa da 4 giorni è dunque davvero il futuro del lavoro?
In un contesto di trasformazione digitale, maggiore attenzione alla sostenibilità e di rinnovate esigenze di work-life balance, si potrebbe rispondere di sì a patto che vi sia fattiva «capacità di adattamento dei singoli settori, muniti delle risorse necessarie per riorganizzare i processi e, non da ultimo, della volontà di valorizzare il benessere come leva strategica per la competitività».

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