
La Gen Z dice addio al posto fisso, ma non rinuncia alla carriera
Secondo il Randstad Workmonitor Pulse sulla Gen Z, il 37% dei lavoratori italiani nati tra il 1997 e il 2007 prevede di rimanere nell’impiego attuale al massimo un anno. Al full time interessato solo il 22% di loro, mentre il il 75% utilizza l’AI per migliorare le proprie competenze, ben più di qualsiasi altra generazione
Fare carriera, ma a modo proprio. E’ questo il principale motivo che spingerebbe i giovani nati tra il 1997 e il 2007 a cambiare spesso posto di lavoro. Lo dice il Randstad Workmonitor Pulse, l’indagine globale di Randstad su 11.250 lavoratori di tutti i settori in 15 paesi, tra cui 750 intervistati in Italia. Cuore della ricerca sono proprio i fattori chiave che determinano le scelte della Gen Z, che oggi rappresenta il 23% della forza lavoro globale.

Venendo nello specifico ai dati italiani, il 37% dei giovani in questa fascia d’età prevede di restare nell’azienda in cui lavora attualmente al massimo per un anno. La permanenza nello stesso luogo di lavoro è inversamente proporzionale all’età anagrafica. Il 28% dei Millennial sta pensando infatti di cambiare, ancora meno i Gen X e i Boomer, entrambi al di sotto del 20%. Ma quali sono i motivi che spingono i Gen Z ad andarsene prima dei colleghi più anziani? Intanto, non solo per accedere a uno stipendio più alto.
Al secondo posto delle loro scelte ci sarebbero le scarse occasioni di avanzamento nella carriera. L’87% del campione di giovani lavoratori considera infatti sempre o spesso obiettivi a lungo termine quando valuta un nuovo ruolo. Per loro è insomma essenziale poter accedere a percorsi di sviluppo chiari, flessibilità, programmi di formazione basati anche sull’intelligenza artificiale (quest’ultima utilizzata dal 75% del campione analizzato, ben più di tutte le altre generazioni) e un lavoro in linea con i propri valori.
Visti gli scarsi compensi, inoltre, secondo il Randstad Workmonitor Pulse, i Gen Z italiani sembrerebbero più interessati al part-time, in maniera da potergli affiancare un eventuale “lavoretto secondario”. Potendo scegliere, in altri termini, solo il 22% di loro vorrebbe il classico tempio pieno (per Boomer e Gen X si arriva quasi al 30%) e ben il 19% affiancherebbe al full time un’attività extra o comunque un’entrata economica aggiuntiva. Un quarto vorrebbe poi un part time, con varie formule (il 9% un solo contratto a tempo parziale, il 7% con un’attività extra, un altro 9% più contratti part time). Mentre il 14% preferirebbe essere un lavoratore autonomo, il 13% avere contratti temporanei, il 7% da free-lance.
L’attitudine alla maggiore mobilità espressa dalla Gen Z potrebbe avere ripercussioni anche sulle strategie di talent retention e attraction, che, secondo la ricerca Randstad, dovranno essere sempre più rapide e flessibili. Il primo fattore di fidelizzazione a lungo termine resta anche per i giovani la retribuzione con il 42% di preferenze (al primo posto come per le altre generazioni, ma con percentuali inferiori). Seguono poi i giorni di ferie con il 24% (così importante solo per la Gen Z) e al terzo posto a pari merito la flessibilità di orario (21%) e le opportunità di carriera (21%).

Il compito di commentare i risultati del Workmonitor Pulse spetta a Marco Ceresa, Group CEO Randstad, che sottolinea come comprendere a fondo le differenze nelle esigenze e motivazioni della Gen Z rispetto alle altre generazioni permetterà alle organizzazioni di «migliorare le strategie di talent retention e attraction delle organizzazioni». Per il Ceo, in conclusione, «i lavoratori più giovani evidenziano una maggiore attitudine al turnover, ma anche una mentalità più orientata al futuro. Entrano nel mercato del lavoro con ambizione, fiducia e desiderio di crescere, ma sono aperti a esplorare forme diverse rispetto al lavoro tradizionale a tempo pieno. Oltre alla retribuzione, guardano un ventaglio di fattori nella scelta dell’impiego ideale, in cui appaiono sempre imprescindibili flessibilità e equilibrio con la vita personale».
NEWS CORRELATE
