
Care Palome, in vacanza riposate come campi a maggese
Nel suo articolo pre pausa estiva, la nostra contributor Federica Celeste dà qualche dritta per imparare a staccare davvero, uscendo dalla logica performativa che ci spinge a riempire ogni buco anche quando sarebbe davvero arrivata l'ora di riposare
di Federica Celeste*

Nel campo di lavoro si coltiva, si produce e si corre di continuo. Eppure, la terra sa una cosa che noi abbiamo dimenticato: ogni tanto bisogna lasciarla stare. Tenerla a maggese.
Un tempo non produttivo che non è abbandono. Uno spazio lasciato intenzionalmente vacante affinché qualcosa di più sano possa crescere. Un atto di fiducia nella fertilità che verrà.
Abbiamo riempito ogni interstizio di attività, sorrisi finti, notifiche, corsi di aggiornamento, vocali a velocità 2x. Saturati in una centrifuga emotiva, spesso di rumore, per non sentire il vuoto. Per non attraversare il rischio e l’attesa.
Così, fare spazio diventa una ribellione contro l’horror vacui organizzativo che ci vuole in modalità «posso sempre, devo ogni volta, faccio subito», in un presente che non chiede tutto, ma solo presenza. E proprio lì, mentre ci riempiamo di altro per non affrontare quel cambio lavoro che rimandiamo e quella relazione che non funziona, la nostra incapacità di dire «no, basta» rischia il cortocircuito. Così le strategie di coping diventano autogoal. Che cosa sono? Il discorso sarebbe lungo, limitiamoci solo a questo: le strategie di coping sono quei meccanismi psicologici e comportamentali che attiviamo per affrontare situazioni percepite come stressanti, dolorose o minacciose. Possono essere consapevoli o automatiche, funzionali o disfunzionali, temporanee o consolidate. L’obiettivo è ridurre il disagio. Perché le giudico dannose? Perché nella maggior parte dei casi, non risolvono il problema, ma lo spostano. Non agiscono sulla causa, ma sul sintomo.
Il coping significa insomma fare altro come fuga. Il multitasking come maschera e la proattività come stordimento.
E’ arrivata l’ora di smetterla: usciamo una buona volta dalla performance come autocondanna.
Sospendiamo l’ossessione per il miglioramento continuo.
E accogliamo, ogni tanto, quel terreno in attesa. Non sciupato, ma in divenire.
Essere indulgenti con le nostre risorse significa accettare che la mancata operatività non è assenza di potenziale. Che un periodo di interruzione può essere esattamente ciò che serve per tornare a sentire.
E che non tutti i segnali devono diventare subito call to action. Alcuni vanno solo abitati, fermandoci ad ascoltare e a silenziare i più pesanti.
Per poi, nel vuoto dello spazio e del tempo libero, finalmente allentarci verso qualcosa di vivo e inaspettato.
Contro la sopraffazione, eccovi qualche piccola dritta:
1. Pianifichiamo del tempo bianco in agenda. Non slot liberi o impegni personali. È uno spazio di pausa per guardare fuori dalla finestra con la schiena dritta, serve a dare senso a ciò che c’è.
2. Creiamo una mappa dei nostri coping inutili. Scriviamo cosa facciamo quando siamo stanchi: scrolliamo? Mangiamo? Compriamo corsi? Poi chiediamoci se questi gesti ci rigenerano o ci distraggono soltanto. Spesso, sono meccanismi difensivi per raccontarcela.
3. Rendiamo visibile il nostro qui ed ora. Chi rallenta non è invisibile. Cambiamo narrativa considerandola una fase di riorganizzazione profonda, preparatoria al nuovo ciclo.
4. Eliminiamo due cose che non ci servono più. Un progetto zombie, una riunione ricorrente inutile, una collaborazione spenta con vampiri emotivi. Due cose, non tutto. Ma due, sì.
5. Benessere, non soluzioni. Smettiamola con l’onnipotenza da problem solver, va bene anche: «Non so ancora. Ho bisogno di lasciar decantare». È una forma di ascolto umano.
Paloma nasce per dare respiro alle persone che lavorano con le persone, senza farsi risucchiare dalle persone. Un dialogo per chi lavora con l’umano senza smettere di lavorare su di sé. Uno sfogo per chi ha capito che la trasformazione passa da dentro. Per chi ha fame di senso e nausea di KPI.
Per chi osserva gli umani e sa che sono fatti di paura, desiderio, stanchezza, possibilità. Uno spazio interiore dove accogliere fatiche e vulnerabilità senza retorica, con empatia ma senza zucchero. Non è una community sulla cultura aziendale piena di anglismi, forse somiglia più a una stanza del silenzio per accrescere il rumore. Fermarsi, elaborare e spostare lo sguardo verso linguaggi nuovi per fare bene il proprio lavoro, senza perdersi nel farlo.
Buone vacanze, buona pausa piena a tutte le Palome che legittimano la stasi. Per un cambiamento sentito, soprattutto quando non c’è niente da dimostrare.

* Chi è l’autrice
Pedagogista delle organizzazioni e ingegnera gestionale, Federica Celeste è ricercatrice internazionale per il Politecnico di Milano. Oggi si occupa di formazione, benessere e gestione del cambiamento, dentro e fuori le aziende. Con un’anima divisa tra i numeri e le crepe psicologiche delle persone, le piace indagare il lato oscuro, ambiguo e tagliente delle storture lavorative. Appassionata di cinema e attivista per i diritti umani e animali, crede in un’idea di sostenibilità informata, anche se sa benissimo dove finiscono le buone intenzioni quando si scrive un post su LinkedIn.
Paloma nasce proprio dal suo bisogno di non smettere di metterci il cuore, mettendoci però il becco. Troppo giovane per essere vecchia, troppo vecchia per essere giovane, scrive e lavora da quell’età di mezzo in cui la lucidità è un superpotere. E anche una condanna.
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