Intelligenza artificiale al lavoro: molti la usano, ma si sentono in colpa

I risultati della ricerca di Babbel for Business commissionata a Censuswide parlano di un 89% di lavoratori GenZer che utilizza l’AI. Tra i compiti linguistici affidati più spesso all’AI le traduzioni, seguite da correzioni grammaticali riformulazione di testi. Eppure, proprio tra i più giovani è più alta la percentuale di quelli che ne vivono l'uso con disagio.

L’intelligenza artificiale al lavoro? Sempre più italiani la utilizzano, ma la maggioranza si sente in colpa quando lo fa. Il curioso dettaglio psicologico è emerso in una ricerca che Babbel for Business ha commissionato all’istituto di ricerca Censuswide.

In particolare, secondo l’indagine sul 57% in totale di lavoratori che provano questo sentimento, i più a disagio sarebbero i giovani, pari addirittura al 79% nella Gen Z, e al 64% dei Millennial. Al contrario, tra i Baby Boomer, prevale una maggiore indifferenza, con più della metà (62%) che afferma di non sentirsi mai in colpa.

Come si spiega una percentuale così alta tra i giovani? Per la ricerca potrebbe dipendere dalle pressioni sociali, come il timore di perdere skill personali o di affidarsi troppo alla tecnologia, ma anche da una maggiore consapevolezza dei possibili impatti dell’AI su aspetti come privacy, originalità dei contenuti o trasparenza dei processi.

In ogni caso, l’uso di Chat Gpt e affini riguarderebbe in media oltre 6 dipendenti su 10 (62%). Tra le attività per le quali questi strumenti sono più richiesti al primo posto si posiziona la creazione di contenuti (32%), un dato che riflette non solo il crescente riconoscimento delle sue potenzialità, ma anche la tendenza, in molti casi, a cercare soluzioni rapide e a costo zero per rispondere alla pressione di realizzare attività creative in tempi sempre più stretti.

Seguono l’analisi dei dati e la reportistica (25%) e, al terzo posto, le attività linguistiche e di comunicazione (24%), un ambito in cui l’uso dell’intelligenza artificiale è particolarmente diffuso: il 26% dei professionisti che lavorano con le lingue straniere la utilizza, infatti, quotidianamente. Tra i compiti linguistici affidati più spesso all’AI figurano le traduzioni (38%), le correzioni grammaticali (37%) e la riformulazione di testi per adeguarne stile e tono (36%).

Secondo i rispondenti che lavorano, in caso di mancanza di competenze linguistiche nell’ambito professionale, gli strumenti tecnologici automatizzati possono fare la differenza, supportando in diverse attività: in primis la traduzione dei contenuti (40%), seguita dalla localizzazione di testi come i post per i social media (31%) e la redazione di contenuti direttamente in lingua (31%).

Un altro dato significativo riguarda la fiducia nelle traduzioni automatizzate: la metà degli italiani (51%) dichiara di fidarsi “abbastanza” di questi strumenti, una quota che raggiunge il 59% tra coloro che utilizzano regolarmente una lingua straniera nella propria azienda. Questo dato evidenzia il fatto che chi ha maggiore familiarità con le lingue sembra riconoscere la qualità del supporto offerto dall’AI o possiede comunque le conoscenze, e una marcia in più, per poter fare un controllo sull’attendibilità.

Dalla ricerca emerge poi che tra chi utilizza l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro, il 54% ha ricevuto un training specifico; di questi rispondenti, il 27% ha seguito la formazione direttamente all’interno della propria azienda, una percentuale che sale al 32% sia tra i Millennial sia tra chi utilizza una lingua straniera in ambito lavorativo.

L’85% degli italiani che utilizzano l’AI nel proprio lavoro riconosce poi un impatto positivo degli strumenti automatizzati sulla propria produttività. Un elemento particolarmente curioso coinvolge le fasce d’età più mature: oltre 9 persone su 10 (94%) tra i Baby Boomer che impiegano l’AI nel proprio lavoro segnalano un miglioramento della produttività, nonostante appartengano alla generazione meno propensa all’adozione di questi strumenti. Superato lo scetticismo, chi inizia ad utilizzarla percepisce, infatti, benefici ancora più evidenti rispetto alle coorti più giovani.

Ben l’81% degli intervistati afferma poi che l’intelligenza artificiale ha cambiato il proprio modo di lavorare; in particolare, il 29% ha riscontrato effetti nel modo di relazionarsi con colleghi e clienti. Poco meno di un quarto dei rispondenti (24%) sostiene, tuttavia, che l’intelligenza artificiale ha modificato solo parzialmente le attività lavorative quotidiane tanto che preferiscono ancora affiancarla a metodi più “tradizionali”.

Secondo la ricerca, peraltro, particolarmente utile si rivelano gli strumenti di IA quando mancano le competenze linguistiche in ambito professionale. Nello specifico, i settori che ne riconoscono maggiormente l’utilità per la creazione di contenuti sono: l’healthcare (37%), il manifatturiero (49%), il retail (38%) e vendite e l’ambito media e marketing (41%). Nel mondo IT spicca invece la possibilità di redigere codici direttamente in lingua (47%). Infine, per le risorse umane, si riconosce soprattutto la potenzialità per la creazione o revisione di contenuti di marketing (44%).

In merito ai risultati della ricerca, ha detto Maren Pauli, Capo della Didattica B2B di Babbel for Business: “Comprendere come i professionisti integrano l’intelligenza artificiale nelle attività quotidiane e in particolar modo per svolgere compiti linguistici ci aiuta ad intercettare nuovi bisogni formativi, sempre più mirati e specifici. È importante analizzare i cambiamenti in corso per proporre soluzioni aggiornate, realmente vicine alle esigenze di aziende e dipendenti, aiutandoli a sfruttare al meglio strumenti e a sviluppare le competenze necessarie per lavorare con l’AI in modo consapevole, efficace e competitivo”.

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