Sostenibilità: cresce l’attenzione delle imprese, ma serve più formazione

L’analisi condotta da CFMT - Centro Formazione Management del Terziario - che conta oltre 35.000 dirigenti e 10.000 aziende associate legate al CCNL per un’offerta formativa di alto livello da 30 anni, in collaborazione con SosteniAbilita, offre un’indagine approfondita sullo stato di integrazione della sostenibilità nelle aziende italiane. Attraverso un questionario articolato in 21 domande sono state raccolte le risposte di 300 delle sue associate, tracciando un quadro dettagliato delle strategie adottate in tal senso.

Cresce nelle aziende italiane l’attenzione alla sostenibilità. Lo sostiene l’analisi condotta dal Centro Formazione Management del Terziario in collaborazione con SosteniAbilita. Basata su un questionario di 21 domande, l’indagine ha coinvolto 300 associate del CFMT, intervistate tra dicembre 2024 e gennaio 2025. Tra i risultati più interessanti, in primo luogo la presenza di quasi un 73% delle società che ha già implementato o sta pianificando di attuare una politica di sostenibilità. Si tratta di un dato che non solo segna un passo importante verso l’integrazione delle considerazioni di sostenibilità nella strategia e operatività di impresa, ma mette anche in luce una correlazione significativa tra la dimensione aziendale e la predisposizione ad adottare tali pratiche.

Composto in prevalenza da aziende del Nord Italia, il campione ha interessato più della metà di aziende con più di 100 dipendenti, di cui oltre il 40% supera i 250. Dal punto di vista economico, il 64% degli intervistati vanta un fatturato superiore ai 25 milioni di euro, con 1/3 che supera i 125 milioni di euro; tra i settori maggiormente rappresentati prevalgono i servizi alle imprese (circa 1/3), seguiti da beni industriali ed energia (17%) e dal commercio di largo consumo (13%).

Secondo l’indagine, quindi, le aziende che hanno già implementato politiche di sostenibilità sono spesso dotate di maggiori risorse finanziarie e umane, perciò privilegiate in tal senso. Se poi appartengono a gruppi più ampi esercitano anche una significativa influenza sulle loro sussidiarie e affiliate, promuovendo una cultura della sostenibilità che si riflette in tutta l’organizzazione.

La condivisione delle best practice tra le aziende afferenti a uno stesso gruppo può pertanto accelerare il processo di transizione verso modelli più virtuosi, dato che del 71% delle imprese che ha adottato strumenti operativi come la matrice di materialità solo il 34% lo ha poi definito.

Sussiste quindi ancora un divario significativo tra gli intenti strategici che delineano un impegno crescente del settore e la loro effettiva implementazione concreta.

Più in generale, però, l’indagine mostra comunque una maggiore attenzione alle strategie di efficientamento, al risparmio energetico e alla riduzione degli sprechi, basate sull’adozione di un qualche tipo di rating ESG e condivisione degli obiettivi di sostenibilità almeno con gli stakeholder interni.

La conferma di questo orientamento arriva infatti dal tipo di governance adottato in particolare dalle aziende con più di 250 dipendenti, che hanno già istituito un comitato di sostenibilità. In termini organizzativi, il 30% dispone in organigramma un ruolo o una funzione di Responsabile ESG / Sostenibilità.

Il 55% delle aziende intervistate già̀ emette una qualche forma di rendicontazione di sostenibilità, sia essa la ex dichiarazione non finanziaria, il report di sostenibilità, la relazione di impatto o il bilancio sociale, e questo avviene per il 20% su base obbligatoria (il 68% sono realtà con più di 250 dipendenti) e per il 35% su base volontaria (il 20% con meno di 50 lavoratori, per motivazioni strategiche o di filiera).

Il principale impatto positivo percepito è di natura reputazionale (41%): gli investitori infatti risultano sempre più attenti alle scelte etiche delle imprese così come i clienti; segue la diminuzione dei costi e delle inefficienze (18,2%), ricadute favorevoli su fatturato e utili (5,6%), mentre il 2,1% non ne ravvisa nessuno se non che una prima barriera culturale sia stata superata.

Oltre il 67% dei rispondenti rileva anche la presenza di impatti negativi dall’integrazione della sostenibilità: a causa di un aumento dei costi (38%), per la perdita di competitività (12,2%), per l’incremento dei rischi (11,5%) e per la diminuzione di fatturato (5,6%), almeno nel breve periodo. Di buon auspicio però il 22,5% che non risente di particolari fattori negativi. Infatti, se pur permane la percezione ambivalente sull’impatto della sostenibilità tra rischi e costi ravvisabili nel breve periodo, si riconoscono anche grandi opportunità su orizzonti più lunghi.

Va considerato che le resistenze principali e le criticità legate all’integrazione della sostenibilità sono attribuibili alla complessità normativa (23%), che sale al 47% delle aziende con oltre 250 dipendenti e alla mancanza di competenze e risorse (15,8%), pari al 49% per quelle che ne hanno meno di 50, seguite da resistenze culturali varie.

Guardando al futuro, oltre il 50% delle aziende coinvolte sostiene l’esigenza di una formazione specifica per facilitare l’adozione dei principi di sostenibilità, e il supporto di esperti esterni è considerato fondamentale per affrontare le sfide dettate dalla transizione.

Sulla ricerca ha detto Nicola Spagnuolo, Direttore di CFMT: «Oggi la sostenibilità non rappresenta più un elemento accessorio, ma un fattore strutturale e abilitante per la continuità e la competitività delle aziende, un driver trasversale che impatta operativamente e strategicamente sui processi e sulla cultura imprenditoriale. Per questo è per noi importante analizzarne tutti gli aspetti e cogliere gli stimoli delle realtà virtuose e dei loro manager che hanno già reso operativi determinati processi».

Per converso è tuttavia importante notare che le piccole e medie imprese (PMI), autentica spina dorsale dell’economia italiana, mostrano ritardi significativi nell’adozione di politiche sostenibili perché spesso carenti di risorse e competenze necessarie per implementare strategie efficaci.

Pertanto, per garantire una transizione equa e completa, è fondamentale che proprio le PMI ricevano il supporto necessario per intraprendere questo percorso, per trasformare questa sfida in un’opportunità di crescita, competitività e innovazione.

Dalla ricerca spicca proprio un’esigenza specifica di upskilling e reskilling delle risorse interne alle aziende per affrontare questo orizzonte, come pure quella di attingere a competenze specialistiche esterne.

In merito Alfredo Romano, Founding & Managing Partner SosteniAbilita, ha commentato: «L’omnibus della Commissione Europea, pur promettendo semplificazioni, richiede alle imprese un ulteriore sforzo di apprendimento, riconciliazione e riallineamento delle strategie aziendali, spesso già in fase avanzata. In questo contesto, un ruolo chiave lo giocano sia le competenze esterne di professionisti specializzati sui temi della sostenibilità sia la condivisione a cura delle grandi imprese delle “best-practice” che si stanno via via consolidando e di cui le PMI possono beneficiare».

La ricerca targata CFMT-SosteniAbilita mette insomma in luce un quadro piuttosto polarizzato: da un lato emerge un impegno crescente da parte delle imprese, dall’altro l’effettiva adozione di pratiche sostenibili nelle strategie e nei processi aziendali è ancora in divenire.

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