
Lavoratori e gestione d’impresa, la nuova legge 76/2025 tra luci e ombre
L'avvocato giuslavorista Fabrizio Grillo affronta nel suo nuovo articolo pro e contro della legge pubblicata da pochi giorni sulla Gazzetta Ufficiale, nata per dare attuazione ai principi contenuti nell'articolo 46 della Costituzione sul "diritto" dei lavoratori a partecipare alla vita delle imprese in cui sono impiegati
di Fabrizio Grillo *
La recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori (come Legge n. 76 del 2025) offre l’occasione per svolgere alcune considerazioni sul provvedimento.
La prima, rispetto alla circostanza che la nuova legge costituisce attuazione, cui non si era di fatto ancora mai provveduto, dell’articolo 46 della Costituzione. A tale riguardo, mentre la norma costituzionale riconosce “il diritto” dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, seppur «nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi», di fatto la nuova legge – discostandosi da quello che era l’originario disegno – generalmente lascia nella disponibilità dell’azienda la scelta sull’effettività della partecipazione.

In tale circostanza trova presumibilmente origine il fatto che molte delle parti solitamente più vicine agli interessi dei lavoratori non hanno accolto favorevolmente la novità.
Infatti – in particolare rispetto alla partecipazione gestionale (vale a dire la possibilità di nominare rappresentanti dei lavoratori all’interno degli organi societari) – se da un lato viene posto che tale partecipazione possa essere prevista dai contratti collettivi, dall’altro questa condizione viene stabilita come necessaria ma non sufficiente, poiché, anche qualora disciplinata dai contratti collettivi, è previsto che gli statuti societari «possono» prevederla.
Tale assetto lascia presumere – anzitutto – che le parti sindacali, in virtù della nuova legge, avranno l’aspettativa che la partecipazione (non solo gestionale, ma anche in altre forme introdotte dalla legge) abbia accesso al tavolo delle trattative sui rinnovi dei contratti collettivi.
Inoltre, non è da escludere che ci si possa imbattere in futuro in previsioni di nuovi contratti collettivi che, come sovente accade rispetto ad altri istituti, nel disporre più favorevolmente ai lavoratori rispetto alla legge, prevedano detta partecipazione come un vero e proprio impegno a carico delle aziende. Ci si chiede quindi come la giurisprudenza potrà pronunciarsi sull’ammissibilità di tali eventuali previsioni.
Rispetto alla partecipazione finanziaria dei lavoratori, il livello della contrattazione collettiva rilevante cui viene fatto riferimento dalla legge viene limitato ai contratti aziendali o territoriali. Solo tale contrattazione collettiva potrà quindi prevedere la distribuzione dell’utile (che dovrà essere «non inferiore al 10 per cento degli utili complessivi») idonea ai fini dell’accesso ai benefici fiscali introdotti dal provvedimento.
Nell’ipotesi della partecipazione finanziaria, tuttavia, la legge non sembra porre quale mera facoltà dell’azienda l’effettiva attuazione della distribuzione dell’utile eventualmente prevista dalla contrattazione collettiva sopra indicata (è infatti menzionato che la distribuzione dell’utile debba essere effettuata «in esecuzione» di tali contratti collettivi).
In tale contesto, è da notare come, laddove l’azienda abbia facoltà o meno di sottoscrivere un contratto aziendale che preveda la distribuzione di utili ai lavoratori, un’azienda che applichi già un determinato contratto collettivo nazionale dovrà applicare l’eventuale relativo contratto territoriale che disponga tale distribuzione di utile. Ci si chiede quindi se – quanto meno attraverso la contrattazione territoriale – lo strumento troverà applicazione.
Quanto alla partecipazione organizzativa – posto che già prima dell’avvento della nuova legge vi era facoltà di istituire le commissioni paritetiche finalizzate a miglioramenti organizzativi menzionate dal provvedimento, e ve ne erano degli esempi – la relativa previsione, che mantiene l’istituzione di tali commissioni paritetiche come mera facoltà, appare come un invito alle aziende a promuoverne l’istituzione.
Più innovative sembrano le disposizioni inerenti la partecipazione consultiva che, rispetto ad altre commissioni paritetiche eventualmente istituite per consultazioni rispetto “alle scelte aziendali”, istituzionalizzano una procedura di esame congiunto. Tale confronto – pur mantenendo il carattere di non vincolatività per l’azienda generalmente previsto per le consultazioni sindacali – obbliga tuttavia l’azienda ad illustrare, tra l’altro, i motivi dell’eventuale mancato recepimento dei suggerimenti proposti nel parere che la commissione paritetica potrà formulare nel corso della procedura di consultazione.

* Chi è l’autore
Sono un avvocato giuslavorista ed opero da diversi anni presso lo studio legale internazionale Hogan Lovells. Ho maturato negli anni una significativa esperienza nell’assistenza alle aziende italiane e multinazionali operanti in diversi settori rispetto alle problematiche giuslavoristiche ed alla gestione del personale, sia nelle questioni day by day che in attività di carattere straordinario, quali ad esempio le riorganizzazioni. Ho assistito aziende italiane e straniere rispetto ai profili giuslavoristici inerenti numerose operazioni societarie (sia acquisizioni che dismissioni), compresi trasferimenti di azienda e ramo di azienda.
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