
Formazione e lavoro in Italia, ancora forte il mismatch secondo Osservatorio Proxima
Il nuovo report dell’Osservatorio Proxima a cura di Enzima12 fotografa un sistema che si muove a due velocità: mentre le grandi aziende spingono su digitale, green e intelligenza artificiale, le micro-imprese restano indietro. Risultato: il disallineamento di competenze, che ha causato una perdita di 44 miliardi e la formazione aziendale concentrata nelle grandi imprese e quasi assente nelle micro compromettono competitività e sviluppo.
Nel nostro Paese formazione e occupazione parlano ancora troppo spesso lingue diverse, ma con le giuste strategie si può invertire la rotta. Lo dicono i founder di Enzima 12, il venture builder che crea e abilita società nei servizi per la formazione e per il lavoro, che ha presentato lo scorso 28 maggio il nuovo rapporto “Formazione e Lavoro 2025” di Osservatorio Proxima. Alla presentazione ufficiale hanno partecipato, tra gli altri, la Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia Chiara Gribaudo e il presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto.
Basata su dati Excelsior curati da Unioncamere, l’indagine rimarca come nel 2023 sarebbero stati quasi 44 miliardi di euro, pari al 3,4% del PIL, i costi sostenuti dal nostro Paese nella ricerca di personale di difficile reperimento, con tempistiche di inserimento che variano tra 2 e 12 mesi. Inoltre, solo il 36% degli adulti italiani tra i 25 e i 64 anni avrebbe seguito un’attività di formazione o aggiornamento nell’ultimo anno, contro la medie europea di quasi uno su due.

In merito al Report ha detto Fabrizio Gallante, Managing Partner di Enzima12: «Il mismatch di competenze si manifesta su due fronti: le imprese faticano a trovare i profili richiesti e i lavoratori non hanno accesso a percorsi efficaci per sviluppare le skills necessarie. Questo disallineamento non è solo tecnico ma genera inefficienze strutturali, rallenta l’innovazione ed è un costo industriale elevato per il nostro Paese. Il sistema formativo aziendale in Italia è fortemente polarizzato: sono soprattutto le grandi imprese a formare, più della metà investe nei propri dipendenti mentre le micro non ce la fanno a stare al passo, e appena un’azienda su cinque investe in formazione. Questa asimmetria compromette la competitività del tessuto produttivo e rallenta l’accesso e diffusione di competenze necessarie per affrontare le transizioni in corso».
A conferma del divario registrato, nel Report si nota come nel 2022 le aziende che hanno erogato formazione sono state 726.960 e già nel 2023 il numero complessivo di chi ha organizzato o previsto corsi è sceso a 708.940. La vera frattura è dimensionale: solo il 21,1% delle microimprese forma i propri lavoratori, contro il 54,2% delle grandi aziende.
Parallelamente, anche la trasformazione dei contenuti formativi è netta. Il 41,6% delle imprese forma i propri dipendenti su digitalizzazione (soprattutto cyber-sicurezza, tecnologie 4.0, digital marketing), mentre il 30,3% punta sulla transizione ecologica, investendo in gestione ambientale, rifiuti, riciclo, efficienza energetica.
In aggiunta, nel terzo bando del Fondo Nuove Competenze – che finanzia nelle imprese i percorsi di aggiornamento per i lavoratori durante l’orario di lavoro – l’intelligenza artificiale entra tra le quattro aree strategiche accanto a digitale, green e welfare.
Quanto al finanziamento, nel 2023 il 76,8% delle imprese ha auto-finanziato la formazione ma solo il 15,4% ha usato fondi interprofessionali, che però movimentano oltre 980 milioni di euro l’anno. Le piccole imprese ne beneficiano pochissimo (8,5%), eppure si tratta di uno strumento già pronto e largamente sottoutilizzato.
A questo si aggiunge un divario occupazionale persistente: l’occupazione femminile resta ferma al 56,5%, con una distanza di 19,5 punti percentuali rispetto agli uomini.
Infine, la variabile demografica aggrava il quadro: per ogni 1.400 lavoratori senior in uscita, ne entreranno solo 1.000 giovani entro il 2050. L’età mediana nel Paese è già di 48,4 anni, destinata a salire oltre i 51 nei prossimi 25 anni.

Suggerisce possibili strategie per uscire dall’impasse Vincenzo Vietri, Co-founder di Enzima12: «Con l’intelligenza artificiale possiamo salvare e trasmettere il patrimonio di competenze dei lavoratori esperti, costruendo un ponte tra generazioni e valorizzando il sapere delle imprese. Davanti al silver tsunami, al mismatch e all’inattività femminile, l’Italia rischia di perdere gran parte del suo potenziale produttivo. Occorre riconoscere la formazione continua come diritto, spingere le PMI a usare i fondi disponibili, rilanciare ITS, giovani e donne, e trasformare l’esperienza dei senior in risorse formative attraverso l’IA. Lo 0,30% di contribuzione obbligatoria deve tornare alla sua missione: finanziare percorsi per i lavoratori, non coprire altre voci di bilancio. Serve anche un impegno forte in sede europea per escludere i fondi per la formazione dal regime degli aiuti di Stato: solo così si garantiscono coerenza e impatto reale alle politiche attive».
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