
Il capo che ti cancella: piccola storia vera di come non si guida un team
Da un episodio vissuto in prima persona agli inizi della sua carriera il nostro contributor Antonio Procopio sottolinea come siano profondamente cambiati (in meglio) i valori delle aziende che davvero vogliano valorizzare i propri collaboratori.
di Antonio Procopio*
C’erano i modem a 56k, c’erano i floppy, e c’erano le giornate in cui passavo ore a scrivere righe e righe di codice. Lavoravo come programmatore per una società di software nel settore delle telecomunicazioni.
Come ogni giovane alle prime armi, ero entusiasta: analisi dettagliate, documenti ordinati, diagrammi pronti da presentare. Ero fiero del mio lavoro. Così, ogni volta che c’era una riunione col direttore tecnico, consegnavo tutto al mio responsabile… che, però, non le guardava mai.

Anzi, durante le riunioni, alla classica domanda: «A che punto siamo?», lui rispondeva candidamente:
«Stiamo ancora preparando tutto».
Poi mi lanciava uno sguardo che diceva: fingi che sia vero, ok?
E io lì, seduto, a bocca aperta, con le analisi fatte pronte in cartella, ma senza fiatare per non metterlo in imbarazzo.
È stata una delle mie più grandi lezioni di leadership inversa: ho capito esattamente come non deve comportarsi un capo. Un responsabile che non ti legge, non ti ascolta, non ti difende, non ti valorizza… ti cancella. E chi lavora sentendosi invisibile, dopo un po’ si spegne.
Oggi, con qualche anno e qualche ruga in più, lo racconto con un sorriso, ma all’epoca è stato duro e profondamente formativo.
Per fortuna, il mondo del lavoro è cambiato. O almeno, sta cambiando. Il capo oggi? Un facilitatore, non un imbuto.
Oggi ci si aspetta che chi guida un team sia un alleato, un facilitatore appunto, non un collo di bottiglia che si prende i meriti e scarica le colpe. Un capo capace crea spazi, protegge le persone, fa emergere le competenze del gruppo. E, soprattutto, comunica.
Le aziende più evolute oggi premiano la leadership che si fonda su:
– Ascolto attivo.
– Riconoscimento del merito.
– Responsabilità diffusa.
– Trasparenza e comunicazione costante.
C’è poi un elemento che all’epoca mancava del tutto: la tracciabilità del lavoro.
Oggi, tra strumenti di project management, CRM collaborativi, dashboard condivise e piattaforme di knowledge sharing, è molto più semplice tenere traccia di chi ha fatto cosa, quando e con quali risultati. Non per fare “controllo a vista”, ma per riconoscere contributi, distribuire equamente i meriti e soprattutto responsabilizzare tutti.
Tra i modi che abbiamo oggi di tracciare il lavoro, ad esempio, un task su Asana o Trello ha sempre un “owner” visibile. Poi, un commento su Notion o Confluence racconta la storia del pensiero del team e infine un commit su GitHub è firmato, visibile e verificabile.
Ma non è solo questione di strumenti: è questione di cultura. Una cultura in cui le persone non si sentono “copiate”, “oscurate” o “messe in silenzio”, ma rappresentate e riconosciute.
Quando racconto quella storia ai giovani founder delle start-up che seguo oggi, vedo che molti si sorprendono. «Davvero succedeva?», mi chiedono.
E io rispondo: «Sì, ma oggi abbiamo tutto per fare meglio. E possiamo farlo davvero, ogni giorno».
Perché un bravo leader non è quello che brilla al posto tuo. È quello che ti accende.
E se un giorno non hai voce in riunione, è lui che dovrebbe parlare per te, non al posto tuo.
Ah, e sì: i file con le analisi ce li ho ancora, salvati da qualche parte. Ma adesso li firmo sempre!

*Chi sono
CEO di MYMY.IT e di Digital-Hub, oltre che CTO di Intarget Group, sono esperto di Innovazione, Digital Advisory & Digital Marketing. Tra le altre esperienze, per Oltre La Media Tv conduco il programma televisivo StartupOpenBar e il webcast StartupShots. Faccio parte del Comitato direttivo del Business Angels Club Pisa. Sono poi mentor di StartupGeeks ed esperto di business con un solido background tecnologico. Infine, partecipo direttamente ed indirettamente in oltre 40 start-up e scale-up, con due exit di rilievo.
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