
Benessere psicologico al lavoro: un equilibrio ancora lontano
Una nuova indagine condotta da Serenis con l’Università di Padova evidenzia un peggioramento diffuso dello stato mentale dei lavoratori italiani. Tra flessibilità, sicurezza psicologica e scarsa attenzione da parte delle aziende, la distanza tra esigenze e risposte resta ampia
Secondo la nuova edizione dell’Osservatorio sul benessere psicologico nelle aziende italiane, realizzato da Serenis in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova, il 61% dei lavoratori italiani presenta livelli crescenti di malessere psicologico. Un netto peggioramento rispetto al 49,4% rilevato nel 2023. Il punteggio medio dell’indicatore GHQ-12 è ora di 21,4 (era 20,1), mentre solo il 17% mostra segnali di benessere mentale.
Si tratta di un dato che si riflette anche nella soddisfazione professionale, in calo da 5,66 a 5,25 su 10. Le aree più critiche sono quelle commerciali (4,6) e di produzione/logistica (4,8). Inoltre, le persone con un titolo di studio più elevato risultano tendenzialmente meno soddisfatte.
Sebbene il tema sia ritenuto rilevante da oltre il 60% degli intervistati, il 57,8% dichiara che la propria azienda mostra uno scarso interesse per la salute psicologica dei dipendenti, un valore in crescita rispetto al 52,9% del 2023.

«Molto spesso le aziende faticano a comprendere che il benessere non si costruisce con i benefit, ma con ambienti in cui le persone possono esprimersi, sentirsi ascoltate e libere di sbagliare», osserva Martina Migliore, psicoterapeuta e Direttrice della Formazione in Serenis. «Dove mancano autonomia e sicurezza psicologica, è più facile che emergano ansia, insoddisfazione e distacco».
Tra i fattori più rilevanti per il benessere percepito emergono:
– autonomia nel proprio ruolo;
– possibilità di esprimere opinioni senza conseguenze negative;
– allineamento tra i valori individuali e la missione aziendale.
A queste condizioni si aggiunge una forte domanda di flessibilità. Il 47,2% dei rispondenti sarebbe disposto a rinunciare fino al 10% dello stipendio pur di lavorare un giorno in meno a settimana, anche in presenza e con orari fissi. Lo smart working, se ben strutturato, è indicato come ulteriore leva positiva per l’equilibrio vita-lavoro.

«La flessibilità non è solo un incentivo: è un’esigenza strutturale», sottolinea Martina Gianecchini, professoressa del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova. «Il valore attribuito alla possibilità di scegliere tempi e luoghi di lavoro va oltre l’aspetto simbolico: i lavoratori sono pronti a fare sacrifici economici pur di ottenerla».
L’indagine ha anche rilevato quali iniziative aziendali sono considerate più utili per migliorare il benessere mentale:
– programmi di supporto psicologico (85,3%);
– controlli sanitari e campagne di prevenzione (49,9%);
– mentoring e percorsi di crescita (39,3%).
«Iniziative come il supporto psicologico o i percorsi di mentoring non sono più un “plus”, ma elementi chiave per costruire un ambiente di lavoro sano, motivante e sostenibile nel lungo periodo», ribadisce Migliore. «Le persone chiedono alle aziende un impegno reale, fatto di ascolto, prevenzione e crescita».
Il campione analizzato è composto in maggioranza da donne (77,6%) e da persone tra i 18 e i 25 anni (63,1%), con un livello di istruzione medio-alto: il 49,6% ha una laurea magistrale o un titolo del vecchio ordinamento, il 26,8% una laurea triennale, e il 4,7% ha completato un dottorato o un master post-laurea.
Una composizione che suggerisce una crescente consapevolezza, soprattutto tra i giovani e i profili più qualificati, dell’importanza del benessere mentale nel contesto lavorativo.
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