
Intelligenza artificiale e selezione del personale: amiche o nemiche?
Nel suo nuovo articolo Atena Manca riflette sui rischi e le opportunità connessi all'utilizzo dell'IA nei processi di recruiting: se correttamente gestita può essere un potente strumento di inclusione.
di Atena Manca*

Di recente mi è capitato di leggere un articolo che citava il caso Amazon di qualche anno fa. L’azienda aveva sviluppato un algoritmo per selezionare CV in modo automatizzato, con l’obiettivo di rendere il processo di recruiting più efficiente e imparziale. Ma dopo qualche mese di test, ci si è accorti che il sistema penalizzava sistematicamente i profili femminili. Scartava, ad esempio, chi aveva partecipato a un “women’s chess club” o aveva studiato in college femminili.
L’algoritmo era stato addestrato su dieci anni di dati storici — e quei dati riflettevano un mondo del lavoro fortemente maschile nei ruoli tecnici. L’AI, semplicemente, ha imparato a replicare quel modello
È allora che mi è tornato un dubbio che avevo da tempo: ma chi imposta un algoritmo non potrebbe, consapevolmente o meno, escludere a monte certe persone in base al genere, all’età, alla provenienza? La risposta è sì.
Un algoritmo non ha pregiudizi propri, ma se viene alimentato con dati distorti, ne assorbe i bias e li applica come se fossero oggettività. Anche quando non si inseriscono esplicitamente informazioni come sesso, età o provenienza, l’intelligenza artificiale può dedurle da segnali indiretti: il nome, le interruzioni di carriera, le scuole frequentate, il linguaggio utilizzato. Così, anche senza volerlo, si rischia di rendere strutturali le stesse esclusioni che si dovrebbero correggere.
Eppure l’AI, se usata in modo consapevole, può essere uno strumento potente per promuovere equità e inclusione. Immaginiamo ad esempio un sistema che rimuove dai CV qualsiasi riferimento potenzialmente discriminatorio e che valuta le competenze in base a test oggettivi, strutturati e replicabili. Oppure un algoritmo che segnala al team HR i reparti in cui, a parità di anzianità e performance, le promozioni riguardano sempre lo stesso genere o la stessa fascia d’età. O ancora, una piattaforma che rileva segnali precoci di disingaggio nelle persone rientrate da un congedo parentale, permettendo di attivare percorsi di reinserimento realmente efficaci.
Molte aziende stanno già utilizzando l’intelligenza artificiale per costruire percorsi di formazione personalizzati, suggerendo contenuti in base alle skill mancanti o agli obiettivi di carriera. Altre usano chatbot intelligenti per offrire supporto immediato a chi lavora, o per raccogliere feedback in modo più frequente e anonimo. In alcuni casi, sistemi di people analytics aiutano a individuare pattern di esclusione che l’occhio umano non vedrebbe.
Naturalmente, tutto questo può funzionare solo se dietro agli strumenti c’è una visione chiara e un’intenzionalità etica. Non basta usare l’AI per dire di essere moderni. Serve sapere cosa le stiamo chiedendo di fare, e soprattutto cosa le stiamo insegnando a considerare importante. Serve vigilare affinché le tecnologie non amplifichino storture, ma aiutino a raddrizzarle. Serve, infine, che le decisioni finali — su chi assumere, su chi valorizzare, su chi ascoltare — restino nelle mani delle persone, non delle macchine.
Il rischio più grande oggi non è l’intelligenza artificiale. È l’automatismo con cui rischiamo di delegarle scelte complesse, dimenticando che l’inclusione non si programma. Non si automatizza. È un impegno quotidiano, fatto di attenzione, di ascolto, di volontà. Nessun algoritmo può sostituire la sensibilità di chi lavora con e per le persone. Ma se ben progettato, può diventare un alleato silenzioso e prezioso per fare emergere chi altrimenti resterebbe ai margini.
Sul mio blog e su Instagram, provo ogni giorno a riflettere su questi temi: sul modo in cui la tecnologia, il lavoro e i nostri valori si intrecciano. Perché, alla fine, dietro ogni algoritmo c’è una scelta. E dietro ogni scelta, c’è una responsabilità.

* Chi è l’autrice
Atena Manca è una professionista con 20 anni di esperienza nel marketing e nella comunicazione. Laureata in Economia per l’Arte e la Cultura all’Università Bocconi e con un Master in Marketing a Publitalia ’80, ha completato di recente il corso Mastering Digital Marketing in an AI World alla London Business School. Creatrice del blog Madonnager.it, Atena condivide riflessioni e consigli (anche quelli non richiesti!) su come bilanciare carriera, maternità e vita personale, sempre con un pizzico di ironia.
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