Malessere al lavoro: sì al “corporate wellbeing” per combatterlo davvero

Quanto è più alto il livello di benessere, tanto più le persone sono motivate e coinvolte sul lavoro: l’engagement può triplicare in presenza di strumenti di ascolto organizzativo: lo sostiene la B Corp JOINTLY specializzata nella strategia di "corporate wellbeing", basata su percorsi olistici di counseling

Engagement ai minimi storici e turnover elevatissimo rendono sempre più urgente la ricostruzione di un dialogo vero con i propri collaboratori, oltre ogni tipo di benefit e servizio che si abbia intenzione di offrire.

Lo sostiene l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ha rimarcato la necessità per le aziende di adottare al proprio interno la strategia del “corporate wellbeing”. Si tratta di uno strumento che – sostiene l’Osservatorio – «permette di triplicare il tasso di engagement dei propri collaboratori e aumentare di quasi cinque volte (dal 5% al 23%) il tasso di collaboratori “felici”».

Secondo la ricerca, invece, mettere a disposizione delle persone psicologi o counselors di per sé non basta, perché non affronta le cause del malessere che emergono nei contesti professionali e lì vanno dipanate. Facendo attenzione alle specificità generazionali.

Al parere dell’importante istituzione accademica dà ulteriore conferma la seconda edizione dell’Osservatorio JOINTLY Balance, condotta dall’omonima B Corp italiana specializzata nel settore del corporate wellbeing, in collaborazione con Modus, un team di professionisti e consulenti aziendali.

Al centro dell’indagine, l’analisi dei risultati del percorso di counseling svolto all’interno di JOINTLY, dal quale sono emerse come molte delle problematicità condivise all’inizio siano state affrontate e in parte riformulate. In particolare, l’incontro con i counselor ha aiutato le persone a focalizzarsi sul nocciolo del problema, che sono spesso le relazioni interpersonali, la cui incidenza aumenta a fine percorso. Come si spiega un risultato del genere? Secondo l’Osservatorio, dal fatto che gran parte del malessere al lavoro deriva da difficoltà nella vita personale, che però poi sfocia in relazioni problematiche con colleghi e insoddisfazione professionali.

Scendendo più in dettaglio, si notano differenze generazionali piuttosto marcate. Le difficoltà principali di GenZers e Millennial under 30 riguarderebbero infatti la capacità di comprendere e gestire le dinamiche organizzative delle aziende nelle quali iniziano a lavorare, un problema che finisce per impattare fortemente sulla loro volontà di restare.

I lavoratori più adulti, nella fascia tra i 30 e i 50 anni, avvertono invece una maggiore fatica nel gestire i carichi di cura familiari, provando spesso sensi di colpa e di frustrazione rispetto alla priorità del lavoro. I senior, infine, vivono non di rado una sorta di crisi identitaria causata dalla difficoltà di vedersi riconosciuto il loro ruolo.

Francesca Rizzi

In merita ai risultati della ricerca Francesca Rizzi, CEO e co-founder di JOINTLY spiega: «Molte aziende per supportare il benessere dei propri collaboratori offrono servizi di sostegno psicologico, ma così facendo intervengono sui sintomi e non sulle cause del malessere. E’ invece necessario secondo noi passare dalla cura del sintomo alla prevenzione del problema: attivare un supporto di professionisti che non sono solo psicologi e psicoterapeuti ma anche counselor organizzativi, cambiando approccio e offendo un sostegno più efficace».

A questo scopo la B Corp utilizza essenzialmente tre strumenti basati su un approccio olistico per affrontare il disagio alla fine condiviso da organizzazioni e singole persone. Al primo posto, il percorso attivato da JOINTLY esorta le aziende ad affrontare il malessere in prima persona, evitando di delegarlo a uno strumento esterno come ad esempio il rimborso spese per la cura del benessere mentale del singolo dipendente.

In secondo luogo, è importante prevedere occasioni di incontro con le proprie persone per coglierne i sintomi di disagio in maniera traversale e inter-generazionale.

Da ultimo, è fondamentale offrire in particolare ai manager la giusta formazione perché sappiano gestire al meglio gli alti livelli di responsabilità che ricadono sulle loro spalle in questa fase storica. Essenziale è insomma favorire lo sviluppo delle loro competenze di ascolto. Perché se davvero si ha a cuore il benessere di tutti, è necessario che le persone possano esprimere liberamente il loro punto di vista sulle situazioni e su come essere davvero in grado di affrontarle. Solo in questo modo, infatti, si sentiranno accolte e di conseguenze vivranno i loro task in maniera più produttiva.

SEGUI LA DIRETTA DI: