
Intelligenza artificiale e lavoro: l’impatto toccherà dieci milioni di italiani
Basata sui dati della forza lavoro stimati dall'Istat, l'indagine curata dalla Fondazione Ranstad AI & Humanities analizza l'impatto dell'intelligenza artificiale su professioni e mansioni, permettendo anche di tracciare l'identikit dei lavoratori più colpiti
L’intelligenza artificiale impatterà fortemente su dieci milioni di lavoratori italiani. Lo sostiene un’indagine curata dalla Fondazione Randstad AI & Humanities, che esplora l’intersezione tra intelligenza artificiale e scienze umane. Ad esserne toccate, sono tutte le tipologie di occupazione, da quelle poco qualificate in su, ma in particolare le più colpite saranno le professioni impiegatizie di medio livello nelle vendite e nell’amministrazione.

La Randstad Research ha quantificato l’impatto dell’IA sui lavoratori italiani, utilizzando tre diversi indici scientifici che identificano a loro volta tre differenti effetti prodotti dall’introduzione delle tecnologie digitali nelle attività lavorative. Si tratta nello specifico dell’indice di esposizione all’automazione elaborato da Osborne e Frey, che misura gli effetti dell’automazione nella sostituzione degli aspetti non cognitivi e ripetitivi delle mansioni. Il secondo indice di esposizione all’IA considerato è stato elaborato da Felten, Raj e Seamans e misura l’esposizione di una professione all’intelligenza artificiale su mansioni non ripetitive e cognitive. Infine la ricerca ha preso come riferimento l’indice di esposizione al Machine Learning di Brynjolfosson Mitchell, che misura quanto questa tecnologia completi i compiti in maniera uguale o più efficiente a quella umana.
Incrociando i tre indici, risulterebbe quindi che impiegati, operai e conducenti di vetture siano i profili più esposti agli effetti dell’automazione in Italia, tra sostituzione o complementarità nelle attività. Della prima categoria fanno parte anche gli alti dirigenti e le professioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione in genere. Un risultato analogo si ottiene anche considerando l’indice del machine learning.
Applicando i tre indicatori all’intera forza lavoro e segmentando per variabile socio-economiche, si può costruire un identikit dettagliato dei lavoratori con il maggiore impatto. Secondo la Fondazione Randstad, il più colpito dall’avvento dell’IA nel mondo del lavoro sarebbe dunque un giovane impiegato, maschio, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, con basso titolo di studio (scuola dell’obbligo), che opera in settori ad alta manualità come costruzioni, turismo e logistica.
E’ invece donna, laureata, che lavora nel Nord e Centro Italia come analista dei dati o specialista nella finanza il secondo profilo più esposto agli effetti dell’intelligenza artificiale. Sempre donna, del Nord e Centro Italia, ma tra i 15 e i 24 anni, con diploma di scuola superiore, impiegata nel commercio o finanza, che lavora in smart working, sarebbe infine la terza lavoratrice più esposta agli effetti del machine learning.

Il commento della Randstad Research è affidato a Emilio Colombo, Coordinatore del Comitato scientifico, il quale sottolinea innanzitutto la trasversalità della rivoluzione portata dall’IA sul mercato del lavoro italiano, affermando in particolare: «Da un lato, le professioni poco qualificate sono particolarmente esposte agli effetti dell’automazione e della robotica, dall’altro quelle altamente qualificate sono molto esposte a quelli dell’intelligenza artificiale che impatta soprattutto le abilità cognitive. Le tecnologie non sostituiranno tout court questi ruoli, ma potranno sostituire o integrare i singoli task. Di certo, questo avrà conseguenze sul fabbisogno complessivo di lavoratori, ma le preoccupazioni sull’impatto occupazionale dell’AI vanno ridimensionate alla luce della dinamica demografica, per cui nel 2030 la forza lavoro italiana diminuirà di circa 1,7 milioni. La digitalizzazione potrebbe aiutare a bilanciare il mismatch tra domanda ed offerta, in un contesto di riduzione dell’offerta di lavoro».
L’ottimismo sotteso al commento di Colombo è confermato da Fabio Costantini, AD di Randstad HR Solutions e Consigliere della Fondazione Randstad AI & Humanities, che sostiene: «L’intelligenza artificiale, più che sostituire l’intelligenza umana, ha il potenziale per ridefinirla», perché consentendo l’accesso a enormi quantità di informazioni, offre l’opportunità alle persone di «potenziare soft skill come analisi critica, capacità di decisione, di supervisione e di interazione».

Se combinate insieme, IA e intelligenza umana potrebbero in definitiva davvero portare a un aumento delle competenze e conoscenze collettive. Costantini però invita tutti a uno «sforzo di formazione dei talenti e di aggiornamento dei sistemi educativi, che consenta alle persone di utilizzare adeguatamente queste tecnologie, integrando le competenze STEM a quelle umanistiche, come studi filosofici, psicologici, sociali e storici, per la comprensione del contesto nelle conseguenze morali, sociali e etiche dell’uso dell’AI e nell’interazione con gli esseri umani».
Per quantificare l’impatto dell’IA sul lavoro, il Randstad Research ha utilizzato i dati Istat sulla forza lavoro, pari a 22,4 milioni di occupati, con l’esclusione delle Forze Armate.
Per ulteriori informazioni sull’indagine si può cliccare qui.
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